Al vertice Fao i conti della fame

Al vertice Fao i conti della fame Al vertice Fao i conti della fame Roma, dalle parti del Circo Massimo, c'è un grande palazzo bianco, che tutti chiamano «la Fao», molti senza preoccuparsi di sapere chi siano tutti quegli stranieri che vi entrano e ne escono. Fao sta per Food and Agriculture Organization, è l'istituto specializzato dell'Orni per l'alimentazione e l'agricoltura, nato nel 1946 a Quebec, in Canada, e nel 1950 trasferito a Roma. Dunque la Fao ha 50 anni e, per celebrarli, da dopodomani a domenica, in quel palazzo bianco ci saranno 137 delegazioni, molte delle quali guidate da capi di Stato o di governo. Fra gli altri, probabilmente Fidel Castro, Li Peng, Suharto, Mubarak, forse Gheddafi. Insomma una conferenza mondiale di tutto rispetto, o se si preferisce un vertice, che si apre proprio mentre, nella regione dei Grandi Laghi, tra lo Zaire e il Ruanda, si compie l'ennesima tragedia di centinaia di migliaia di profughi affamati. La coincidenza suscita una comprensibile emozione, e avrà certo degli echi anche polemici nel palazzo bianco. Tuttavia va ricordato che la Fao non si occupa di profughi (per loro esiste un Alto Commissariato delle Nazioni Unite) e che il bilancio di questo suo mezzo secolo va fatto sui dati oggettivi e generali della politica agricola e alimentare nel mondo. Ora, questi dati sono non tanto negativi quanto contraddittori. A differenza di quanto comunemente si crede, l'aumento della produzione alimentare ha finora tenuto il passo con l'incremento demografico, e ciò vuol dire che, in termini assoluti, il numero degli affamati non si è accresciuto, anzi è andato lentamente riducendosi. Però, ecco una prima contraddizione, questo relativo progresso si è realizzato in due direzioni, egualmente dannose per il cosiddetto ecosistema: anzitutto espandendo i terreni coltivati e quindi riducendo le aree forestali, col risultato di aggravare 1'«effetto serra» (aumento dell'anidride carbonica e della temperatura globale della Terra) e la desertificazione; e poi, nel caso delle coltivazioni intensive, abusando di pesticidi e fertilizzanti, con l'ovvia conseguenza di un inquinamento chimiI co, che ormai arriva a ! coinvolgere l'acqua potabile. La seconda contraddizione è nel fatto che, per quanti sforzi si facciano per l'aumento della produzione alimentare, l'incremento demografico risulta alla fine superiore alle risorse. Già ora, a conti fatti, sono almeno 800 mila, nei Paesi in via di sviluppo, le persone alle prese con la fame, cioè con la sopravvivenza. E fra 30-35 anni la popolazione mondiale sarà aumentata di altri tre miliardi. Come corollario, per i Paesi sviluppati, si aggraverà il fenomeno, già inquietante, dell'immigrazione clandestina. A questo punto, i dati tecnici, forniti dagli esperti della Fao, hanno bisogno di una risposta, non più solo tecnica, ma politica. Che però non può venire soltanto dai Paesi ricchi, ma anche e in egual misura dai Paesi poveri. In altre parole, i primi devono fornire una maggiore assistenza tecnologica e finanziaria, possibilmente mirata, più che a un sollievo immediato, a uno sviluppo strutturale di quelle economie ancora elementari. I secondi devono predisporre l'ambiente adatto a ricevere e a far fruttare gli aiuti. E questo vuol dire soprattutto misure di cooperazione e di pacificazione interna, concentrazione degli sforzi per migliorare la vita delle generazioni presenti e future. Perché i Paesi ricchi hanno molte responsabilità, compresa quella di gestire gli aiuti secondo i rispettivi interessi post-coloniali, ma anche quelli poveri sono colpevoli di dissanguarsi in faide etniche e tribali e di usare, molte volte, le poche risorse, locali o aggiuntive, in velleitari esercizi di potenza militare. La tragedia dell'Africa nera si spiega anche con questo. Riuscirà il vertice di Roma a porre un primo riparo a tutto ciò, o si ripeterà lo sterile spettacolo delle polemiche e dei risentimenti? Aldo Rizzo tzo zzo tzojj Gli integralisti armati tentano disperatamente di bloccare il processo democratico in corso nel Paese Nelle foto, il presidente algerino Liamine Zeroual e i rottami dell'autobus [foto ansa] ALGERI. Una nuova strage si è aggiunta alla Usta degli attentati con i quali gli integralisti armati algerini tentano disperatamente di bloccare il processo democratico in corso nel Paese, e che si sono moltiplicati all'approssimarsi del referendum costituzionale del 28 novembre, peraltro contestato da alcune parti politiche che vi vedono il pericolo di un «aggravamento della violenza». Le ultime vittime della lotta degli estremisti contro il regime di liamine Zeroual sono almeno 15, tra i quali 4 bambini, ed oltre una trentina di feriti), fatte a pezzi dall'esplosione di un'autobomba, ieri mattina verso le 7,30 (ora locale e italiana), a Birkhadem, quartiere popolare di Algeri e roccaforte dì Djamel Zituni, ex capo del Già - il più radicale dei gruppi armati algerini (tormentato da divisioni interne) - ucciso in aprile dai suoi stessi compagni. L'auto è esplosa, presso una Si allunga la catena di violenze in vista del contestato referendum costituzionale del 28 novembre

Persone citate: Aldo Rizzo, Djamel Zituni, Fidel Castro, Gheddafi, Liamine Zeroual, Mubarak, Suharto

Luoghi citati: Algeri, Canada, Roma, Ruanda, Zaire