«Le moschee profanate dai poliziotti» di Gad Lerner

«Per la perquisizione non si sono tolti le scarpe Ora non possiamo più pregare sui nostri tappeti» «Le moschee profanate dai poliziotti» Protesta l'Imam: hanno calpestato un luogo sacro ANCHE se in materia d'immigrazione il ministro Napolitano appare comprensibilmente preoccupato anzitutto di fornire risposte adeguate all'allarme sociale derivante dalla criminalità e dalle tensioni diffuse. Dunque l'imam torinese Mostafa Aboussaad, pur non contestando la legittimità dell'azione di polizia, ha denunciato come gli agenti abbiano calpestato con le scarpe i tappeti della moschea di via B aretti 31, nel quartiere di San Salvano, sicché ora i musulmani, secondo le loro regole, non possono più pregarvi. «Dovremo buttarli, raccogliere i soldi, cinque o sei milioni, per comperarne di nuovi». Naturalmente stiamo parlando di un episodio minore, anche se non inedito: già lo scorso agosto vi furono proteste dei musulmani di Albenga dopo che gli agenti avevano fatto irruzione nella locale moschea inseguendo un presunto spacciatore. Ben più grave, dal punto di vista degli interessi nazionali e dell'intero Occidente, si configura il problema dell'integralismo armato. Un nemico non sempre e solo islamico -ne conosciamo pure una versione cristiana e una versione ebraicama comunque irriducibile, poiché identifica nella nostra organizzazione sociale e nella nostra cultura l'impersonificazione stessa di Satana. Ma l'esperienza dovrebbe insegnarci che la lotta contro un nemico dalle notevolissime capacità di penetrazione nei ghetti delle nostre metropoli necessita, sì, di repressione, la quale però risulta efficace solo se accompagnata dal massimo rispetto per le regole del culto e dalla disponibilità al dialogo. Perfino riguardo ai tappeti di via Baretti. Ragion per cui al ministro Giorgio Napolitano chiediamo senz'altro di essere più inflessibile di certi suoi predecessori nei riguardi di chi usa il territorio nazionale come retroterra terroristico; ma al tempo stesso ci permettiamo di dargli un consiglio: approfitti del suo soggiorno torinese per visitare a piedi scalzi una delle moschee perquisite. Ciò potrà risultare molto utile anche da un punto di vista strettamente conoscitivo: tali moschee, infatti, sono luoghi di religiosità popolare diversissimi pure fisicamente dalle chiese (e dalle sinagoghe) le cui varie architetture ci sono familiari. Niente minareti e mezzelune. Attualmente esistono in Italia solo tre moschee vere e proprie: a Roma, Milano e Catania. E le altre che proliferano quasi invisibili nei quartieri più poveri? Restano pochissime se è vero che in Italia il rapporto è di una moschea per 6800 musulmani, mentre in Gran Bretagna ce n'è una per 1623, in Francia una per 1726, in Germania una per 2647. Ma superano pur sempre il centinaio. Si tratta di scantinati, negozi, bugigattoli in case di ringhiera come il primo piano di via Berthollet 24 a Torino dove giovedì è stato arrestato il custode Achour Saadi. Garages come la moschea di via Baretti che ha subito la profanazione dei tappeti. O ancora ex capannoni industriali come in via Jenner 50 a Milano, là dove ha sede anche l'Istituto culturale islamico il cui nome resterà probabilmente sempre legato alla memoria di Anwar Shaban. Di chi si tratta? Dell'imam, cioè del capo di quell'Istituto. Ma dal punto di vista dei lavoratori e degli sbandati extracomunitari che il venerdì a mezzogiorno comin¬ ciano ad allinearsi in preghiera lungo quei muri scrostati, probabilmente si tratta di un martire. I poliziotti inviati dalla Procura di Milano ad arrestarlo il 26 giugno del '95 nell'ambito dell operazione «Sfinge», con l'accusa di supporto logistico ai combattenti islamici, misero le manette a undici suoi compagni ma non trovarono Anwar Shaban. Sue notizie giunsero solo il 14 dicembre dell'anno scorso dalla Bosnia: ucciso durante un conflitto a fuoco con una pattuglia croata. Shaban era dunque un militante a tempo pieno della rivoluzione islamica, così come probabilmente ce ne sono altri tra i musulmani emigrati nel nostro Paese: predicatori della nuova guerra civile mondiale che non conosce confini perché il Sud del mondo ormai si ammassa fin nelle banlieu e nei suburbi delle metropoli occidentali, in Europa così come in America. Se la prima metà di questo secolo è stata caratterizzata dalla figura del rivoluzionario di professione, avventurieri cosmopoliti devoti alla causa di quella «rivoluzione di pochi» che è stata la presa del potere dei bolscevichi in Russia; possiamo ben dire che il militante fondamentalista è la figura rivoluzionaria protagonista -inquietante e irriducibile- della fine secolo. Facente riferimento a quella «rivoluzione di molti» che abbattendo lo scià di Persia nel 1979 ha davvero travolto gli equilibri mondiali. Torniamo dunque nelle nostre via Baretti, via Berthollet, via Jenner quotidiane tenendo ben presente l'influsso potenziale che possono esercitare sulle masse degli immigrati senzaniente questi predicatori della guerra di religione. Possiamo immaginarci le loro arringhe contro l'alcol di quelle or¬ ribili birre tracannate per la strada, l'invito a disciplinarsi dentro e contro il Grande Satana, a solidarizzare con i mujaheddin afghani, gli hezbollah palestinesi, i bosniaci, gli algerini. Ma anche con i fratelli musulmani in rivolta nelle periferie di Parigi e di Lione, con gli studenti anglopakistani di Bradford, con i neri americani seguaci di Farrakhan. E ingenuo sarebbe credere che il virus fondamentalista faccia breccia solo tra i più poveri e i più ignoranti, quando invece è notorio che si è propagato innanzitutto nelle università tra gli studenti e gli intellettuali. Per fortuna la situazione italiana non è così deteriorata: il numero degli immigrati è tutt'ora di molto inferiore a quello delle altre nazioni industriali dell'Occidente; la maggioranza degli imam sono moderati e giustamente sottolineano come l'Islam non possa essere ricondotto per intero alle sue deviazioni integraliste. Ma, ugualmente, rincontro nelle nostre povere moschee tra i senza-niente della sponda sud del Mediterraneo e i rivoluzionari islamici, in prospettiva può dar luogo a una miscela esplosiva se non si saprà intervenire per tempo. Perché modernissime ed efficacissime si configurano le modalità di tale incontro, come già avvenne al tempo della rivoluzione khomeinista in Iran dove le masse scendevano in piazza armate solo delle audiocassette con la voce registrata del loro ayatollah in esilio. Diciassette anni dopo la tecnologia di cui si avvale il messaggio fondamentalista ha assunto la forma dei vhs predicatori e come tali la polizia li ha sequestrati giovedì in varie città d'Italia. Ecco perché la sorveglianza attiva dei luoghi di ritrovo degli immigrati extracomunita¬ ri si renderà sempre più necessaria. L'Italia del resto si è assunta degli impegni precisi nell'ambito della Nato, cui necessita l'integrazione efficiente di tutti i servizi d'intelligence contro l'internazionale del terrore. Con la scia di sangue che ogni giorno si allunga nella vicina Algeria, e il conflitto latente in Francia tra le autorità governative e la comunità immigrata, sarebbe ingenuo pensare che il nostro Paese non assolva quanto meno a una funzione di retrovia. Fare finta di niente, come spesso in passato, contando di restare solo un territorio di passaggio per i fautori della guerra totale all'Occidente, apparirebbe ingenuo prima ancora che ingiusto. Ben vengano dunque le inchieste delle forze dell'ordine, come quest'ultima che ha assunto il nome di «operazione Shabka» per alludere alla «rete» di complicità predisposta in casa nostra come in tutta Europa- a sostegno del Già algerino. Purché sia chiaro che il fondamentalismo -cioè l'idea che ogni legge terrena debba essere ferreamente vincolata al presunto dettato del proprio Dio, e come tale imposta anche agli infedeli- non si combatte solo con le perquisizioni e gli arresti: sarebbe come voler svuotare il mare con un cucchiaino. I valori di una democrazia laica, capace di comprendere dentro di sè le culture più diverse con ciò affermando l'orgoglio della propria superiorità, si affermano nel riconoscimento degli altrui diritti. Diritti non sempre facili da individuare e tutelare. Compreso quello di tener lontane le scarpe dai tappeti. Gad Lerner L'Italia non è la retrovia della guerra all'Occidente Miscela esplosiva che deve essere fermata al più presto Il fondamentalismo non si combatte soltanto con gli arresti «Per la perquisizione non si sono tolti le scarpe Ora non possiamo più pregare sui nostri tappeti»

Persone citate: Anwar Shaban, Farrakhan, Giorgio Napolitano, Mostafa Aboussaad, Napolitano, Saadi, Shaban