La follia torna in famiglia

la fine ili dei ™ manicomi Sassari, entro la fine dell'anno tutti gli ex ospedali psichiatrici devono essere chiusi La follia torna in famiglia «Ma così rinascono i vecchi lager» SASSARI DAL NOSTRO INVIATO No, Giorgina non vuole che nessuno entri. Non lo permette, durante il giorno, neanche alle compagne di stanza. Guarda la televisione che s'è comprata coi suoi soldi. Lavora all'uncinetto. A 76 anni è ancora bella e curata. Non parla con nessuno. E nessuno ha per lei simpatia. Anzi, nel regno di fantasmi, allucinazioni, incubi che abitano queste mura, è odiata, temuta. Tutte raccolgono il messaggio che Giorgina diffonde intorno a sé: lei è diversa da tutte, non ha niente in comune con le altre. Lo confermano la sua cartella clinica e chi qui l'ha vista invecchiare. Le piacevano gli uomini, le piaceva fare sesso. Per questo la famiglia l'ha rinchiusa che era ancora ragazza e adesso tutti i parenti sono terrorizzati all'idea che gliela rimandino a casa. Giorgina è una dei 280 ricoverati nel Rizzeddu, l'ospedale psichiatrico di Sassari. Il 31 dicembre prossimo tutti gli ex manicomi devono essere chiusi, a compimento della legge Basaglia del '78. Ma grande è la confusione sotto il cielo della sofferenza psichica e del business miliardario che la governa. Nel settembre scorso il ministero della Sanità ha ammesso che solo 5 ospedali pubblici sono in grado di chiudere entro dicembre, che sei regioni (Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna) non hanno presentato alcun progetto per superare lo stato attuale, e - nella lunga lista degli ex manicomi che" àncora non hanno fatto conoscere quale futuro preparano ai loro ricoverati - ha citato quelli di Novara, Cagliari, Sas-^' sari, Rieti, Girifalco (Catanzaro)/: Volterra, Macerata, Chiarugi (Firenze), per non parlare dei 14 istituti privati sovvenzionati da denaro pubblico, di cui si sa pochissimo e in cui è praticamente impossibile, anche per i parlamentari, entrare. La Commissione Affari Sociali della Camera ha intanto approvato una risoluzione che l'on. Giuseppe Lumìa (dell'Ulivo) aveva presentato già nella precedente legislatura: non ci deve essere nessuna proroga, la scadenza di dicembre va rispettata. Le incognite e le prospettive non sono rosee. Giorgina appartiene a quel 20 per cento di ricoverati che, secondo il ministero della Sanità «possono essere dimessi in tempi relativamente brevi: soggetti che non richiedono particolare assistenza sanitaria e possono vivere in case-famiglia, comunità». Invece se ne sta chiusa a chiave nel suo reparto, come tutte le donne del Rizzeddu, perché a loro è consentito solo il cortile antistante la propria divisione; i maschi invece possono circolare per il parco e persino - a parte i casi più gravi - andare in città. Nel sole dell'autunno pochi sono gli uomini che circolano. Hanno occhi spenti. Sono per lo più anziani. Il più vecchio, 80 anni, ex avvocato ricoverato da tempo immemorabile, viene da una famiglia molto facoltosa che gli passa 50 mila lire al mese: se ne sta per tutta la giornata su una sedia, ogni sua aspettativa è riposta nel mattino quando aiuta le infermiere a spingere il carrello coi secchi d'acqua per pulire i pavimenti. Il parco un tempo era di 30 ettari, con laboratori, fattorie, stalle, orti, campi da bocce. Ora - venduto pezzo a pezzo e ridotto a 8 appena - è invaso da erbacce, foglie secche, gatti. Fare la siesta sotto i muri è pericoloso: proprio oggi è caduto un bel pezzo di cornicione da una delle palazzine (costruite tra il 1905 e il 1958). La manutenzione fa rimpiangere i tempi, fino all'inizio degli Anni Ottanta, quando il manicomio era gestito dalla Provincia. Poi i soldi non sono più arrivati, neppure per la sicurezza di chi ci vive e lavora. Ecco, alla Prima Divisione Uomini, 57 ricoverati, due camerate di una trentina di letti ciascuna, nessun armadietto o comodino. E gli interminabili corridoi per raggiungere i due «bagni»: tre-quattro water senza porte o elementi divisori, nessun bidet, niente carta igienica, qualche doccia che qualche volta funziona, una vasca da bagno, i rubinetti che non sempre si aprono. «Qui la mattina si deve entrare con la maschera dicono gli infermieri. - Quando i ricoverati ci arrivano, e non tro¬ vano dove fare i bisogni, dove lavarsi, non aspettano». Ecco i muri scrostati, gli impianti di elettricità e riscaldamento al di fuori di ogni norma di sicurezza, le grandi finestre da cui entrano spifferi mostruosi. «Mettiamo i vetri, aggiustiamo i rubinetti, tentiamo di far funzionare gli scaldabagni - dicono gli infermieri -. Ma non siamo dei professionisti veri. Ci hanno mandato le lavastoviglie, ma non possiamo usarle perché i piatti sono di plastica. Non abbiamo lavatrici e in questa stanza ammucchiamo la roba sporca da far lavare fuori. A volte non ba- sta un cambio al giorno.. A volte la puzza è insopportabile». I manicomi-lager sono ancora tanti, da Messina a Palermo, Agrigento, Nocera Inferiore, coi malati negli escrementi, i letti intrisi di urina, gli scarafaggi, i topi, l'abbandono, la mancanza di abiti, il freddo, le contenzioni forzate, i reparti chiusi a chiave. E questi luoghi-horror, concentrati prevalentemente nel Sud, non sono i peggiori, dice Roberto Cestari, medico, presidente del «Comitato per i diritti degli uomini»: «Nel Nord i muri sono meno scandalosamente sporchi, però lo psicofarmaco è più diffuso. Non fa effetto - sotto la telecamera - il paziente che riposa tranquillo, imbottito di psicofarmaci. Ma non so quale violenza sia peggiore». Di escamotages per non cam¬ biare niente, se ne stanno studiando tanti. Racconta Maria Grazia Giannichedda, direttrice del «Centro F. Basaglia»: «A Catania hanno incominciato anni fa: traslocavano gruppi di 40-50 pazienti dallo psichiatrico a due cliniche convenzionate. A Palermo, dove i degenti sono 358, il progetto è quello di sistemare un'ottantina di persone in strutture reperite dal Comune e di lasciare gli altri dentro l'ospedale, ripulendo qualche muro ma lasciando tutto uguale e cambiando solo la denominazione: non più manicomio ma Residenza Sanitaria Assistenziale. Molte le critiche, ma nessuno ha bloccato niente». Il vecchio manicomio che rinasce sotto nuove spoglie. «Progetti travestiti». No parla anche l'on. Lumìa in un'interrogazione parlamentare dopo una visita al manicomio di Nocera Inferiore: l'Azienda Sanitaria Locale - riferisce - ha indirizzato oltre 50 pazienti a strutture private convenzionate. Travestimenti complicati, come a Sassari. «Qui c'è un'antica tradizione di incomprensione fra sanità e amministrazione» ammette il prof. Gian Battista Murineddu, dall'ottobre '95 Capo Dipartimento delle strutture psichiatriche del territorio. Molti giochi li ha trovati già fatti, ma dalla sua parte stanno tutti gli operatori che vorrebbero finalmente girare pagina, un gruppetto di giovani medici arrivati coi concorsi del '91. Attivissimi. Avevano subito presentato denunce ai carabinieri, i vigili del fuoco, le Usi, la società italiana di psichiatria, le università, persino Amnesty International. Chiedevano l'inagibilità dei locali. Denunciavano la mancanza di personale, di progetti e interventi sul territorio. Dopo un blitz dei Nas le cucine sono state chiuse e i pasti arrivano da fuori. Ma intanto nuove cucine - mai entrate in funzione - sono state allestite, per una spesa di oltre un miliardo. La legge del '94 che sanciva lo smantellamento dei manicomi entro il '96 sembrava soffiare a loro sostegno. Ma tra il '94 e il '95 - con miracolosa celerità - la Regione ha approvato i piani per la ristrutturazione di tre palazzine dismesse, la Corte dei conti ha approvato il progetto e dato via libera ai finanziamenti, i soldi sono incominciati ad arrivare e uno di questi padiglioni è già stato rinnovato. «Si è investito denaro a dispetto di una legge dello Stato che vuole la chiusura dell'ospedale. Ora chiediamo che i soldi già stanziati e non spesi siano dirottati su altri progetti. Chiediamo, ove questo non sia possibile, che le comunità protette da far nascere qui siano circondate da biblioteche, luoghi di aggregazione, uffici. Che l'ex psichiatrico diventi un'area socialmente utile. Che si porti, qui dentro, la città» dice un giovane medico, Antonello Pittalis, convinto che il caso Sassari non è chiuso. «Il Comune ha deciso di costituire una casafamiglia per otto persone - annuncia -. Può sembrare ridicolo,' ma è un successo strepitoso. Per la prima volta nasce in questa città una struttura territoriale: è la prima applicazione della legge del '78». «In questi reparti si deve entrare con la maschera E i vetri non riparano dal freddo» RAPPORTO SULLA LEGGE CHIUSURA OSPEDALI PSICHIATRICI DAL 31-12-1996 OSPEDALI PSICHIATRICI APERTI PUBBLICI PRIVATI 62 * 14 * 79 ** 16** RICOVERATI E POSTI LETTO (1996) IN STRUTTURE IN STRUTTURE PUBBLICHE PRIVATE 11.516* 4.752* 12.950** 7.340 ** * FONTE: MINISTERO SANITÀ' ** FONTE: ISTITUTO MEDICINA SOCIALE Pazienti che non richiedono assistenza continua [sistemazione in case famiglia o case-albergo] 20% Malati cronici [sistemazione in strutture con max 20 ospiti] 40-50% Pazienti non autosufficienti e disabili [sistemazione in strutture assistenziali residenziali] 30-40% Costi per paziente 250-490 mila lire al giorno. «Progetti travestiti Si rinfrescano i muri cambia il nome Ma la prigione resta» INCHIES la fine ili dei ™ manicomi : Un'immagine di un ospedale psichiatrico. Solo cinque centri sono in grado di rispettare la legge

Persone citate: Antonello Pittalis, Basaglia, Chiarugi, Gian Battista Murineddu, Giuseppe Lumìa, Maria Grazia Giannichedda, Roberto Cestari