«Il dipendente può arrabbiarsi col capo» di R. Cri.
Distrutto dall'alluvione, i carabinieri: non è garantita l'incolumità pubblica Condannata una datrice di lavoro: aveva inveito contro un impiegato che aveva alzato la voce «Il dipendente può arrabbiarsi col capo» La Cassazione: è soltanto un gesto inopportuno ::. ; :; : : : | : . ITlfTT? LITI IN UFFICIO ROMA ON è «ingiusto», ma «soltanto inopportuno», il fatto che un dipendente, rimproverato per ragioni di lavoro, alzi la voce e riattacchi bruscamente il telefono. Un comportamento del genere non può, quindi, giustificare un attacco d'ira oppure un'aggressione verbale da parte del suo datore di lavoro. E' questa l'opinione espressa dalla quinta sezione penale della corte di Cassazione, che torna così a occuparsi dei rapporti all'interno degli uffici, dopo aver stabilito, nei mesi scorsi, che il capo ufficio non può insultare i dipendenti. Anche in questo caso i giudici della suprema corte si sono trovati a dover esaminare il caso di uno screzio tra dipendente e superiore, stabilendo però che, anche se «l'attacco d'ira» del capo ufficio nasce da una precedente provocazione, l'insulto non può considerarsi giustificato. Alla Cassazione si era rivolta una datrice di lavoro, Marina Morasset, condan- nata dalla corte d'Appello di Trieste a pagare una multa per aver offeso l'onore e il decoro di un dipendente, dicendogli: «Lei è disonesto, maleducato e burattino». La donna ha chiesto l'annullamento della sentenza, spiegando di aver «reagito al comportamento scorretto del dipendente che, rim¬ proverato per ragioni di lavoro, aveva alzato la voce e riattaccato il telefono». Un comportamento, quello del dipendente, che, secondo la sentenza della suprema corte, «non può qualificarsi come ingiusto, anche sotto il profilo delle regole che disciplinano i rapporti sociali e quelli di lavoro». Si tratta dunque, secondo la Cassazione, di un atteggiamento «soltanto inopportuno che, come tale, non è potenzialmente idoneo a determinare uno stato d'ira e non giustifica, comunque, la reazione della datrice di lavoro che ha aggredito l'onore personale e la dignità lavorativa del dipen¬ dente». La Cassazione precisa comunque che «il limite tra ingiustizia e inopportunità della provocazione» e tra «stato d'ira e altro sentimento che in concreto muove il soggetto agente» è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito «in quanto apprezzamento di fatto che, sorretto da adeguata e logica motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità», E correttamente, secondo la Cassazione, i giudici di merito, con procedimento motivazionale esaustivo e corretto criterio logico, hanno escluso «il rapporto causale tra l'antecedente comportamento del dipendente e la successiva offesa risalente non allo stato d'ira del soggetto, ma a un malinteso senso di gerarchia, nell'ambito dell'azienda, e di potere padronale per il quale la datrice di lavoro si sentiva autorizzata a ingiuriare il dipendente lavoratore». Così, il ricorso di Marina Morasset è stato respinto. [r. cri.]
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