Weinberger: gli americani vogliono un governo diviso

Weinberger: gli americani vogliono un governo diviso Weinberger: gli americani vogliono un governo diviso IL MINISTRO DI REAGAN WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Caspar Weinberger non dimostra affatto gli 80 anni che sta per compiere, parla veloce e non sembra affatto scosso o sorpreso per il risultato delle elezioni del 5 novembre. Una vita in politica, Weinberger è stato per sei anni Segretario per la Difesa durante l'amministrazione di Ronald Reagan. Attualmente compare spesso nelle varie televisioni per commentare i principali fatti politici. Come giudica, in generale, i risultati del voto? «E' chiaro che gli americani hanno tenuto in seria considerazione la questione della personalità morale del Presidente. Secondo gli exit-poli questo problema viene considerato importantissimo dal 65% dei votanti. Tuttavia la maggioranza degli americani ha votato per Clinton. Perché? Innanzitutto perché l'economia va ragionevolmente bene, non benissimo, ma la gente non è abbastanza infelice per sentire la necessità di cambiare. Secondo, i repubblicani non sono stati capaci di smontare la distorsione della loro posizione sulla questione dell'assistenza sanitaria e anche dell'educazione, complete bugie democratiche. Infine, questa amministrazione era fortemente vulnerabile in politica estera, ma nessuno è sembrato interessarsene». Crede anche lei, come molti, che il Presidente Clinton debba in gran parte la sua vittoria a... Newt Gingrich? «Gingrich è stato demonizzato s lui ha certamente fornito munizioni ai suoi esecutori. Troppe conferenze-stampa, ha parlato troppo, senza peraltro essere molto capace di comunicare con la gente». Tuttavia gli elettori hanno premiato il 104° Con- gresso, quello di Gingrich, riconfermando la maggioranza repubblicana in entrambi i rami. Come lo spiega? «Gli americani, anche se molti non lo chiamano così, preferiscono un governo diviso. Si ritorna al punto di partenza: in questo caso particolare, è anche una forma di controllo sulle azioni di questo Presidente, sulle nomine che fa (e lui ha dimostrato di saperne fare di molto cattive), sui tagli al deficit, sulle tasse. Insomma, un bilanciamento. Non bisogna dimenticare che il Paese, da anni, esprime una netta tendenza conservatrice e che Clinton, infatti, ha vinto su un programma che è quasi completamente repubblicano». Come mai il partito repubblicano ha scelto e continuato a sostenere un candidato che sin dall'inizio appariva non in grado di battere Bill Clinton? «Dole era un buon candidato, ma... certo... il problema c'era. Nasce dal processo politico eccessivamente complesso con il quale si sceglie il candidato. Il nostro sistema di primarie costa troppo, dura troppo e logora. Perfino in Italia, una volta scelte le candidature, la campagna è corta. Da noi dura tre anni e mezzo. Pensi a Steve Forbes. A un certo punto è uscito fuori come candidato ed è andato benissimo. Ma purtroppo aveva commesso un grave errore: era partito con tre anni Dole e la moglie Elizabeth, sereni dopo la sconfitta A destra, Caspar Weinberger Nell'altra pagina, in alto, il vicepresidente Gore, Chelsea, Bill e Hillary Clinton salutano i sostenitori dopo la vittoria Sotto, ancora la «first family» degli Stati Uniti

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