Crescono gli iscritti al Pdu «partito delusi dell'Ulivo» di Massimo GramelliniMichele Serra

Crescono gli iscritti al Pdu «partito delusi dell'Ulivo» Crescono gli iscritti al Pdu «partito delusi dell'Ulivo» LA NUOVA OPPOSIZIONE Lm ROMA m OPPOSIZIONE che mancava adesso c'è: si chiama pdu, partito delusi dell'Ulivo. E' nato due sere fa in televisione, come quasi tutto ormai, con l'inatteso pronunciamento di un uomo tranquillo: Enzo Biagi, interprete autorevole dei pensieri più profondi degli italiani. Il suo amico Franco Iseppi, direttore generale della Rai, aveva chiesto ai conduttori di dichiarare in pubblico la loro appartenenza politica e Biagi deve averlo preso in parola perché ha guardato fisso dentro la telecamera con quei suoi occhi da medico condotto che ti sta misurando la pressione e si è messo a raccontare la storia di una delusione particolare: la sua. «Sono stato un estimatore dell'Ulivo». Non lo è già più. «Mi hanno deluso». Torneremo sui motivi di questa delusione, ma intanto prendiamo atto che il pdu esiste e lotta in mezzo a noi. Dapprima era un moto di stizza, un sordo borbottio contro le tasse, Bertinotti, la de che non muore mai. Col passare dei mesi ha assunto contorni decisi: un po' più di uno stato d'animo, poco meno di un'ideologia. Il suo manifesto potrebbe essere la lettera pubblicata ieri da «Repubblica», dove un signore dal cognome non casuale, Scalfarotto, riassume così la situazione: «Dopo la vittoria siamo scesi in piazza, abbiamo riso, abbiamo pianto. Sembra già passato un secolo. Abbiamo finalmente un governo amico e quando ne sentiamo parlar male lo difendiamo come una vecchia zia petulante di cui pensi tutto il peggio possibile ma non sopporti che sia maltrattata dagli altri. La verità è che siamo delusi. Speravamo di essere fieri e non lo siamo. Manca qualcosa. Un progetto ideale». Non meno sorprendente la risposta del giornalista: «Mi ci riconosco in pieno: sottoscrivo». Firmato Barbara Palombelli, moglie del sindaco Rutelli, uno dei leader più esposti dell'Ulivo. Ma sa- rebbe sbagliato credere che il pdu dilaghi solo sulle pagine dei giornali e nei salotti degli intellettuali di sinistra, quelli che Berlusconi definiva «i professionisti del mugugno». Al contrario raccoglie consensi che un tempo si sarebbero definiti «trasversali»: studenti della Pantera e professori universitari, giovani imprenditori e vecchi sindacalisti, veltroniani pentiti e dalemiani impuniti, intrattenitori televisivi e sociologi paludati. Proviamo a tracciare una mappa dei loro umori. «SONO PASTICCIONI». E' la corrente più snob. Può avere la voce perplessa di Michele Serra alle prese con le aliquote della Finanziaria («Aiutatemi a capire») o il tono malizioso di Giorgio La Malfa: «Questo governo pare un'orchestra che avendo provato la Traviata poi si mette a suonare La Forza del Destino». La sua tribuna è L'Espresso, dove Giampaolo Pansa sciorina l'e¬ lenco dei «pasticcioni rossi fritti», fra cui si segnala per le sue capacità illusionistiche «la tassa sulla casa che prima c'è, poi non c'è, poi c'è e non c'è». «SONO FINTI». «Immaginavo che ci sarebbe stato un cambiamento di abitudini», lamenta Biagi. Invece. Il pdu contesta la politica degli annunci, mai seguiti dai fatti, e l'impudica ricerca del consenso. Rimpiange la mancanza di un progetto che giustifichi i sacrifici con qualcosa di meno freddo dell'«andare in Europa». Brandisce come una clava il programma elettorale dell'Ulivo, dove scuola e cultura erano considerati i capisaldi dell' «Italia che vogliamo». L'Italia che abbiamo, invece, è quella in cui la scuola di Berlinguer delude gli studenti sul numero chiuso («E pensare che lo avevamo votato!») e i professori sui concorsi-fantasma, promessi ma non mantenuti, che hanno fatto arrabbiare persino un amico del ministro come il rettore della «Sapienza» Giorgio Tecce. Quanto alla cultura, si è cominciato male con l'aumento delle tasse sui diritti d'autore che scatenò le ire di Arbasino, Vassalli e dello stesso Biagi. Si è continuato peggio con l'occupazione della Rai, le velleità educative della tv veltroniana che indignano Santoro e l'intolleranza per i talenti che ha fatto scappare Arbore dalla radio: «Mi aspettavo di più dall'Ulivo». Per delusi, disillusi e schifati, il vangelo è «Telemarketing», racconto-samizdat della campagna elettorale di Veltroni scritto da Luca Telese, un militante che prova a guardare dietro i sorrisi e trova il vuoto. «SONO POCO CORAGGIOSI». «U coraggio, se uno non ce l'ha, non se lo può dare», diceva nel secolo scorso un esponente del ppi comasco, Don Abbondio. «Il coraggio è una virtù che si misura col tempo», ha detto ieri il bolognese Prodi. Il tasto del coraggio è battuto da quella parte di borghesia che aveva votato Ulivo per mancanza di stima verso i politici del Polo e che oggi si ritrova delusa non dalle idee, che non ha mai condiviso, ma dagli uomini. La protesta contro il dogma masochistico dell'intangibilità dello Stato sociale ha il volto di Emma Marcegaglia, presidente dei giovani industriali. E Gianni Agnelli, proprio da Biagi, ha denunciato «la mancanza di coraggio nel perseguire le decisioni». «SONO COME GLI ALTRI». «C'è lo stesso criterio di lottizzazione e appalto che aveva caratterizzato i governi precedenti. Si sono subito preoccupati della Rai perché non vedono altro». E' ancora Biagi a dolersi. Rai e giustizia, proprio come il Polo dell'odiato Berlusconi. L'Espresso ha coniato il mostro: «Dalemoni». Paolo Flores e Giuseppe De Rita, per motivi opposti, hanno criticato l'atteggiamento del governo verso i magistrati. E sulla Rai, da Omar Calabrese ad Aldo Grasso, è sterminato l'elenco degli ulivisti delusi dall'immediata assuefazione dei vincitori alle pratiche ordinarie del potere, esercitato con la stessa ingordigia dei predecessori, ma con un tono ispirato che lo rende più irritante. Il pdu mugugna e aspetta. Il programma c'è già. Manca solo il leader. Massimo Gramellini A sinistra: Renzo Arbore A destra: Enzio Biagi, Giovanni Agnelli e il presidente del Consiglio Romano Prodi Qui sopra: Michele Serra

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