«Ho visto Andreotti con i boss» di Francesco La Licata

Il senatore replica: c'è un suggeritore «Non penso di essere un angelo, ma e io non so se sia americano valgo qualcosa in più di quel teste» Il pentito: «Incontrò Bontade». E rivela pressioni dei politici per uccidere Dalla Chiesa «Ho visto Andreotti con i boss» Mannoia accusa. Il senatore-, sono bugie ROMA. Per la prima volta a contatto diretto - seppure separati da un paravento da infcrmeria - Giulio Andreotti e uno dei suoi principali accusatori: Francesco Marino Mannoia, detto «mozzarella», ex uomo d'onore della «famiglia» di Stefano Bontade oggi pentito e sedicente testimone oculare di un incontro tra l'ex presidente del Consiglio e il «padrino don Stefano». E' stata una deposizione ad effetto, quella di Mannoia, ieri a Rebibbia, aula bunker, davanti al Tribunale presieduto da Francesco Ingargiola. Già, ad effetto: da una parte il pentito, freddo, meticoloso ma senza eccessi, anzi molto misurato; dall'altra Andreotti, immobile, seduto proprio alle spalle di Mannoia nascosto dal solito «séparé», solo qualche impercettibile movimento del capo quando le parole del pentito si facevano particolarmente pesanti. Chi ha vinto? Ieri il «round» è andato a Mannoia, tagliente come un rasoio per la «precisione» dei suoi ricordi. Ma oggi dovrà resistere all'offensiva della difesa che controinterrogherà il teste e gli avvocali non saranno teneri. Il bilancio della giornata passata, però, si è concluso in favore dei pubblici ministeri che hanno «condotto» sapientemente il teste verso il traguardo che si erano prefissi e cioè far sì che Mannoia confermasse tutto quanto detto nella fase istruttoria, senza farsi intimidire dal contatto diretto con l'inquisito eccellente. E così è stato, anche se il pentito - ad un certo punto - si è lasciato andare ammettendo di non aver voluto parlare prima di Andreotti «perché lo temevo, e continuo a temerlo anche oggi». Francesco Marino Mannoia ha confermato due delle circostanze cardini del processo: che Andreotti incontrò Stefano Bontade in una villetta di Palermo e che la mafia voleva uccidere il generale Dalla Chiesa anche quando «non v'era interesse di Cosa nostra». E cioè quando l'ufficiale si occupava di terrorismo e in particolare del sequestro Moro. L'importanza di tale vicenda, inespressa in aula ma incombente lo stesso, è che Dalla Chiesa fosse «scomodo» per qualcuno che invece era nelle grazie di Cosa nostra. «Ci furono - dice Mannoia - forti pressioni dei politici per far eliminare Dalla Chiesa». E specificando: «Politici locali come i Salvo e Salvatore Lima». Insomma la tesi dell'accusa: Cosa nostra dispensatrice, tramite i cugini Nino e Ignazio Salvo, di «favori» ad Andreotti in cambio dell'attenzione dell'uomo di Stato verso le «necessità» dell'organizzazione, innanzitutto l'aggiustamento dei processi. Sull'incontro fra Andreotti e Bontade, Mannoia è stato molto pignolo. Ha praticamente ricostruito quella mattinata che colloca in un periodo immediatamente posteriore all'assassimio di Piersanti Mattarella. Il luogo è una villetta in stile mediterraneo (riconosciuta in foto) di un parente del boss Salvatore Inzerillo, posta in una traversa di via Pitrè. Mannoia ed altri uomini d'onore hanno il compito, in attesa dell'auto, di non far entrare nessuno, «neppure altri mafiosi». Poi sente suonare un clacson ed apre il portone. «Al volante c'era Nino Salvo, accanto il cugino Ignazio, dietro era seduto l'on. Andreotti. Era vestito di scuro, non aveva soprabito... L'incontro avvenne intorno alle 10 del mattino, il mio ricordo è vivo... Mattarella era stato ucciso da circa due mesi... L'incontro durò tre quarti d'ora o un'ora... Udimmo le grida di Bontade». Perché le grida? Per «ricordare» al politico chi contava in Sicilia. «Qui comandiamo noi e se non vi va ritiratevi al Nord, dove sono tutti comunisti». Ma perché la morte di Mattarella? Aveva deciso di troncare con le «scomode amicizie» ed era persino andato a Roma per denunciare ai vertici del partito che altri democristiani tenevano rapporti coi boss della mafia. Secondo Mannoia, Bontade lo aveva saputo dall'ex segretario regionale Rosario Nicoletti. Già qualche tempo prima Andreotti era stato «avvertito» del comportamento di Mattarella. Ci fu mi incontro «nella riserva di caccia dei Costanzo, a Catania». Al termine, Bontade dice ai suoi: «Staremo a vedere». Mattarella sarà ucciso di lì a poco. «Stefano non avrebbe voluto - ricorda il pentito - ma le cose erano a un punto tale che non fu possibile evitarlo». «Sono calunnie», ribatte il senatore a vita. «Resta da vedere perché nascono». Quindi riprende Mannoia quando parla di «Sindona separatista» forse per «suggerimento di qualcuno d'oltreoceano» e replica: «Io non so se il suggeritore di tali calunnie sia americano, so che c'è». E' stato fatto osservare al senatore che è difficile difendersi da qualcuno che afferma di aver visto coi propri occhi. Al processo c'è la parola di Mannoia contro la sua? «Non penso di essere un angelo, ma forse valgo qualcosa di più di lui». Francesco La Licata Il senatore replica: c'è un suggeritore e io non so se sia americano «Non penso di essere un angelo, ma valgo qualcosa in più di quel teste» Sopra Mannoia, protetto da un séparé, depone in aula. A destra Giulio Andreotti

Luoghi citati: Catania, Roma, Sicilia