« L'entusiasmo era finito » di Guido TibergaMichele Serra
« « L'entusiasmo era finito » Serra: non è «colpa» della sinistra al potere IL PADRE FONDATORE CUORE non è morto ammazzato, e in ogni caso l'assassino non può essere l'Ulivo. «Chi pensa una cosa del genere non capisce nulla di satira». Michele Serra, padre fondatore del settimanale, non ci sta: non è stata la sinistra al potere a rompere la punta alle matite progressiste. «Sono panzane - dice - anche perché Cuore, più che satira politica, ha sempre fatto della satira sociale. Nel nostro mirino c'erano insieme il Palazzo e la gente. Ricorda la rubrica sui negozi con le insegne più stupide? C'era un macellaio che si faceva chiamare lo "scultore del vitello". In quel nome c'è tutta l'Italia degli Anni Ottanta...». Sarà, però il numero sull'avviso di garanzia a Craxi aveva sbancato le edicole. 0 no? «Certo, quello era il nostro repertorio: socialisti ladri, Andreotti mafioso, Spadolini grasso. Per non parlare di tutto quello che abbiamo scritto su Berlusconi...». E allora? «Allora niente. La morte di Cuore è fisiologica: i giornali di satira vivono poco. Alla fine si va avanti senza entusiasmo, quasi per dovere. Vede, quando Sergio Starno chiuse Tango io lo odiai perché mi aveva tolto il giocattolo dalle mani. Ma adesso so che aveva ragione lui». In Francia, però, «Le canard enchainé» vive da decenni. Scusi Serra, ma perché da noi non si può? «Perché il Canard non è un giorna¬ le di satira: loro fanno del gossip politico e sfruttano le veline dei servizi segreti. La satira non ha bisogno di fonti, le sue balle se le inventa di sana pianta. La satira è la più giocosa arte della calunnia». Anche «Cuore», però, con la direzione di Claudio Sabelli Fioretti, si era messo sulla strada del giornalismo vero. Un errore? «Vede, io ho lasciato la direzione perché non mi divertivo più. Non ero più creativo, ormai facevo del manierismo. Sabelli ha cercato di fare qualcosa di nuovo, e gli è andata male». Sia sincero, la crisi è stata colpa di Sabelli? «Forse, con me, Cuore avrebbe chiuso anche prima: nel '94, quando ho lasciato, eravamo a 80 mila copie. La metà di quello che si vendeva pochi anni prima. La crisi è cominciata prima di Sabelli, e prima dell'Ulivo al potere». Serra, della chiusura di «Cuore» si mormorava da tempo. Pare che alcuni collaboratori non fossero pagati da mesi. Lei quando lo ha saputo? «Domenica sera. In una cena con il direttore Aloi e l'editore Grandi». Quello che vi ha messi in mezzo a una strada... «Sì, ma io non posso prendermela con Grandi, in fondo io ho mollato due anni prima di lui. Le ha provate tutte, ma con un giornale sceso a 22 mila copie non poteva fare altro. E' stato con noi fin dall'inizio, e non si è mai comportato da mercante, ma da appassionato». Eppure il segretario del sindacato dei giornalisti lo ha definito un «editore improvvisato». E anche i suoi vecchi colleghi sembrano seccati di queste sue dichiarazioni di stima. Scusi, Serra, non è che adesso lei vuole fare il buono a tutti i costi? «Grandi ha fatto il possibile, ha cercato fino all'ultimo di trovare dei soci. Ouando le speranze sono cadute ha chiuso. Ripeto: solo il modo mi lascia perplesso. Anche perché si poteva evitare». I modi o la chiusura? «I modi. Che bisogno c'era di staccare i telefoni da un giorno all'altro? Cuore aveva diritto a un funerale all'irlandese, con canti e balli. A un ultimo numero per salutare i lettori. Ci pensa? Scherzare sulla propria morte, per chi vive di satira è il massimo...». E adesso? «Non lo so. Mi hanno detto che se sarà dichiarato il fallimento tutto potrebbe essere messo all'asta. Persino la testata. Si rende conto? Potrebbe comprarci chiunque, addirittura il Cavaliere. E allora sarebbe dura pure per i lettori: dopo la beffa della chiusura senza preavviso, arriverebbe pure il danno». Guido Tiberga Michele Serra fondatore nel gennaio dell'89 e primo direttore di Cuore
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