Scorrono i titoli di coda Il Perdente: Bob Dole

Scorrono i titoli di coda Il Perdente: Bob Dole Scorrono i titoli di coda Il Perdente: Bob Dole L'AUTUNNO DEL SENATORE NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Guardatelo e cercate di ricordarlo ancora per qualche giorno. Nel giro di pochi mesi sarà dimenticato, salvo che negli archivi televisivi. Chi ricorda ormai più gli sfidanti caduti nella corsa alla casa Bianca? Chi sa dire senza esitazione chi era Walter Mondale? E Geraldine Ferraro? Qualcuno saprebbe ancora raccontare chi fu Spiro Agnew? E di lui, di Bob Dole, che cosa resterà? Probabilmente nulla, da domani sotto i suoi piedi si aprirà la fossa comune del § tempo che lo nv ghiottirà. E però c'è anche chi si diverte a sognare l'impossibile: che succederebbe se, mille volte «se», oggi tutti coloro che sono incerti, tutti coloro che hanno dichiarato di fare il tifo (un tifo radicale, anti-partito) per Ross Perot, votassero invece per Dole? D'accordo, non accadrà. D'accordo, queste sono le elezioni più scontate (fra le più scontate) di questo secolo. Ma l'America è anche un grande Paese dalle grandi bizzarrie, elegge il suo Presidente con quel sistema pazzesco dei grandi elettori che una volta dovevano raggiungere Washington frustando i cavalli e portando nella tasca della sella il loro mandato ricevuto dai paesani delle praterie e delle montagne. Questo è un Paese in cui è anche accaduto che sia diventato Presidente il perdente, quello che ha avuto meno voti popolari, ma più voti elettorali. Dunque, tutto può essere? Siamo sinceri: no. E' quasi impossibile. Ma è tuttavia su quel «quasi» che si fonda la sbandierata certezza dell'unico che crede nell'elezione certa di Bob Dole. E costui è Bob Dole. Dole dagli occhi rossi perché dorme soltanto due ore per notte comiziando per paesini e quartieri. Dole che accusa ormai Clinton di essere un mascalzone, di aver infangato l'onore della Casa Bianca, di aver portato un'aura di corruzione, di antipatriottismo e di opportunismo che finora Washington non aveva mai conosciuto neppure ai tempi di Richard Dixie Trixie - Nixon, Nixon l'imbroglione, il truccatore. Di tutto ciò Bill Clinton se ne infischia. Gli hanno suggerito di non parlare mai delle accuse di Dole e di assumere anzi nei suoi confronti un tono di penoso rispetto: «Il senatore Dole poveretto deve pur dire qualcosa, quindi ha scelto una sua strategia e su quella non voglio entrare, fatti suoi». Naturalmente questo è vero: è bassa tattica elettorale, ma resta che le accuse di Dole si basino su fatti concreti che in altri tempi avrebbero fatto saltare la Casa Bianca come dinamite, a cominciare dallo scandalo dei fascicoli del Fbi sugli avversari politici fino agli scandaletti di casa e poi le spese faraoniche per una campagna elettorale senza sorprese, frutto per di più di continue violazioni sul finanziamento dei partiti e dei candidati. Insomma, Dole si è attaccato a quella che in Italia si è chiamata la questione morale e che qui si chia- ma «character», o etica del comportamento politico. L'unico fatto elettoralmente vivace è che anche Ross Perot batte sugli stessi temi e quel nove per cento che ancora oggi dichiara di voler votare per il piccolo e napoleonico riformatore, è avvezzo a sentire lo schioccare dello scudiscio quando il nome di Clinton viene pronunciato. Dunque è teoricamente possibile che ci sia un certo travaso di voti da Perot a Dole, in cabina. D'altra parte Clinton vinse nel 1992 soltanto perché Perot scippò un succulento 17 per cento di voti a George Bush, il quale avrebbe vinto a mani basse contro il giovane governatore dell'Arkansas. Dunque Clinton vincerà anche stavolta, sarà anzi uno dei pochissimi presidenti riconfermati e da domani avrà le mani libere (non dovendo più preoccuparsi degli umori elettorali), ma al tempo stesso legate a causa delle sue numerose pendenze giudiziarie: non dimentichiamo che l'orientamen¬ to della magistratura qui ha prodotto soltanto rinvìi (non è corretto mettere nei guai un presidente che affronta la campagna elettorale), ma alla fine i nodi arriveranno a qualche pettine, o almeno così ritengono quasi tutti gli analisti. Tutto ciò detto, non c'è niente da fare: Bob Dole è oggi l'uomo morto che cammina, come il condannato a morte del celebre film. E come tutti i candidati-condannati senza speranza adesso va all'esecuzione gridando che i sondaggi sono truccati. Penoso. Ed è certa anche un'altra cosa: Dole non è, a differenza di Clinton, un mago delle campagne elettorali. Seguita ad incepparsi sulle parole, a ridere per primo alle sue stesse battute e ogni tanto perde il filo. Ma in queste ultime settimane ha veramente picchiato sull'avversario dal punto di vista morale, colpendo l'immaginazione pubblica. Secondo gli ultimi sondaggi, benché gli americani veramente arrabbiati con la disinvoltura di Clinton non raggiungano il dieci per cento, la fetta di elettorato non repubblicano che crede alle accuse di Dole è molto più vasta: circa il venti per cento. Ma il cittadino americano è annoiato dagli scandali, pensa alla salute, alla pensione, alla casa e ai fatti suoi. Dunque vota Clinton perché gli anni di Clinton sono stati buoni L'elettore più impegnato politicamente, con un cuore di sinistra riconosce a Clinton il merito di aver tentato in ogni modo di costruire lo Stato sociale. E vota per lui cosi come vota per lui l'elettore del ceto medio, anche conservatore. Chi è, allora, che vota Dole? La maggioranza, anche se risicata, dei maschi e la minoranza delle donne molto adulte: le donne tanno la differenza a causa del discusso fenomeno detto «gender gap», la preferenza sessuale che premia il maschio più attraente e più attivo, secondo una legge naturale applicata alie elezioni. Voteranno certamente per Dole tutti gli arrabbiati che non si siano già dati a Ross Perot Ma oggi gli arrabbiati in America sono una minoranza etnica Compatta, ina minoranza: gli uomini delle campagne, delle montagne e delle paludi che hanno il fucile nel cassettone del camioncino; i contadini con la Colt nel cassetto che sono tanti in un Paese in cui il proletariato è sempre stato armato (l'epopea western è stata anche una lotta di classe fra contadini e proprietari terrieri, fra mandriani e padroni delle concessioni ferroviarie); il popolo dei nemici del fisco, degli agenti delle tasse e di qualsiasi autorità, perché hanno conseivato un'idea primitiva ed eroica dell'individualismo laborioso che riduce le relazioni d'autorità a quella fra l'uomo e Dio. Ma Bob cadrà. Cadrà domani ringraziando, cadrà con la sua mano pendente per le antiche ferite. Ancora ieri diceva in ogni comizio: «Sono corso a combattere il nazismo in Italia, perché mi sembrava la battaglia da fare. Oggi combatto per riportare l'onore perduto alla Casa Bianca». La moglie Elizabeth lo accudisce, lo accarezza, lo bacia, probabilmente trema pensando ai giorni che l'aspettano quando dovrà consolarlo per anni, creargli ancora intorno un'atmosfera vitale, da grande combattente. Ma da grande perdente. Paolo frizzanti ■ . : ■ ■ ■ ■ ■ : . ■ ■ Wm 1 § A destra Clinton e la moglie Hillary mentre salgono sulla scaletta dell'aereo presidenziale [FOTO CONTRASTO DI DAVID MODELLI Sotto, il senatore Bob Dole

Luoghi citati: America, Arkansas, Italia, New York, Washington