A Palazzo cresce l'allergia verso Tonino l'«alieno»

Riparte il processo di Brescia A Palazzo cresce l'allergia verso Tonino ('«alieno» IL MITO INFRANTO ROMA ON ha molta voglia di parlarne per evitare polemiche, ma alla fine, in uno dei tanti corridoi di Montecitorio, Antonio Maccanico qualcosa la dice su quello scontro che divampa da alcuni giorni tra Antonio Di Pietro e la Guardia di Finanza, cioè tra un ministro della Repubblica e un coqjo dello Stato. «Non è mai successa una cosa simile - osserva il responsabile delle Poste -: come fa un ministro a polemizzare con un corpo dello Stato che svolge un'azione su impulso di una Procura? Se deve chiedere chiarimenti, il ministro si rivolga al magistrato. E' davvero la prima volta che succede, meno male state a sentire a me - che su cose del genere l'opinione pubblica è mitridatizzata». Poco più in là Augusto Fantozzi, appena si tira fuori l'argomento, assume la tipica espressione di chi è perplesso se non addirittura sconcertato. Poi il ministro per il Commercio con l'estero apre le braccia in segno di sconforto e dice: «A questo punto non so davvero a chi dare ragione. Da qui non se ne esce: o muore Di Pietro, o muoiono gli altri. Insomma, siamo di fronte ad un'enormità». Ma il disgusto per questa situazione che Fantozzi cerca invano di nascondere appare, tutto, nelle parole di Lanfranco Turci, uno degli esponenti pidiessini più vicini a Massimo D'Alema. «Come senso dello Stato - si sfoga - abbiamo toccato il gradino più basso nella storia di questa Repubblica. Certo questa storia dei verbali che escono a comando è allucinante, ma nel caso di Di Pietro verrebbe da dire: chi di spada ferisce, di spada perisce. Comunque, lui, il ministro, non può comportarsi così, lanciando queste accuse, queste minacce... Sem- mai deve chiedere di essere tutelato dal presidente del Consiglio o dal presidente della Repubblica». «Senso dello Stato», reclamarlo di questi tempi rischia di diventare, a seconda dei punti di vista, tragico o comico. Basta pensare all'atteggiamento assunto da Romano Prodi in questa vicenda: sono giorni che Di Pietro e la Guardia di Finanza si lanciano accuse al vetriolo sulle pagine dei giornali e il capo del governo finora non ha trovato di meglio che starsene zitto. Solo ieri Prodi ha promesso di occuparsene dopo che un drappello di parlamentari che si rifanno a Di Pietro gli ha inviato una lettera e presentato un'interrogazione sul «caso». «Il presidente del Consiglio - ha raccontato uno di loro, Elio Veltri - è venuto a parlarmene in aula. Io gli ho detto che siamo veramente incazzati e lui mi ha risposto che se ne occuperà». Del resto, a questo punto, Prodi non ha scelta: oltre al «partitino» dell'ex pm più famoso d'Italia, anche Forza Italia gli ha rivolto un'interpellanza chiedendo lumi sulla vicenda e adombrando per la prima volta in un passo ufficiale del Parlamento una richiesta di dimissioni per Di Pietro. «Nella tanto vituperata prima Repubblica ha chiosato Titti Parenti - già saremmo arrivati alle dimissioni del ministro». Così, anche se tirato per i capelli, anche se accetterà di farlo tra una settimana o tra un mese, il governo sarà costretto ad affrontare il problema Di Pietro. E' probabile che la cosa porti ad un nulla di fatto, che tutto finirà nella solita liturgia parlamentare o nelle solite risposte automatiche che regolano i rapporti tra maggioranza e opposizione (la prima costretta a difendere un ministro che non ama, la seconda a soccombere di fronte alla logica dei numeri). Detto questo, però, un dibattito sull'inviolabile Di Pietro, sull'intoccabile Di Pietro, accompagnato anche da una richiesta per adesso «velata» di dimissioni da parte di un settore dell'opposizione, è la dimostrazione che il mito è infranto. E questo è un altro fatto che di¬ mostra che l'atmosfera intorno all'ex pm sta cambiando: lentamente, ma inesorabihnente. Dopo le parole, i giudizi, i silenzi vengono gli atti. Certo c'è chi per paura di aiutare il personaggio ad utilizzare l'immagine che più gli piace, quella del martire, è prudente. «Tutti questi suoi interventi ci fanno dire - osserva Piero Folena, responsabile giustizia del pds - che il troppo stroppia anche per lui. Ma questo suo modo di proporsi mi fa anche pensare che Di Pietro è in buona fede, che non si muove seguendo una logica politica». E, sempre per calcolo, sono meno dirette che in passato le critiche di Gianfranco Fini verso l'ex magistrato: «E che dovrebbe fare Di Pietro se addirit¬ tura non riesce a trovare la solidarietà del governo? - si chiede il presidente di An - E, ancora, come si può chiedere a Prodi di intervenire sulla questione se non ne è capace?». Ma si tratta solo di approcci più studiati al problema. La sostanza rimane sempre la stessa: più passa il tempo e più il mondo politico si dimostra allergico verso chi è diventato il simbolo - sia come giudice, sia come ministro - della magistratura che vuole sostituirsi ad esso. Così al Silvio Berlusconi che continua a non lesinare attacchi a Di Pietro («un altro cittadino che si trovasse nelle sue stesse condiziornVgjà sarebbe?,statQ„indagajp^ quello, invece, non lo tocca .nessuno»), si aggiunge anche Ciriaco De Mitiche viola, da par suo, un altro tabtìf arrivandò'%dire per pàraJ dosso che in fondo in fondo forse Bettino Craxi è meglio dell'ex pm. «Quello che sta avvenendo tra lui e la Finanza - spiega l'ex segretario de - è sconcertante. Se non fossero vere le accuse che gli muovono sarebbe addirittura mostruoso. Ma come si comporta Di Pietro proprio non va: addirittura Craxi ha dimostrato di essere più gentiluomo, ha gridato sì al complotto ma se ne è scappato anche all'estero per dimostrare che era vero». E già piano piano stiamo arrivati al punto: dalle critiche, ai giudizi sprezzanti, ai timidi atti. Ma bisogna ancora vedere chi nella guerra sotterranea che vede procure contro procure, procure contro corpi dello Stato, magistrati contro mondo politico, la spunterà. E che l'esito della battaglia non sia ancora certo lo dimostrano le parole che il ministro degli Esteri, Lamberto Dini, non si stanca di ripetere in questi giorni ai suoi uomini chiedendogli di mettersi al riparo: «Ci vuole prudenza perché siamo in una fase molto pericolosa. E' in atto lo scontro finale con i magistrati e tra i magistrati». Augusto Minzolini gio, nell'aula di Montecion Prodi del caso. Ad un Il ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro minacciando altri corpi dello Stato. E' un'evidente ro a polo Stato pulso di hiedere rivolga a prima male su cose bblica è antozzi, omento, ne di chi irittura o per il apre le Il ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro Da sinistra: Lamberto Dini e Tiziana Parenti

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