Il ricordo di Petrassi

Il ricordo di Petrassi Il ricordo di Petrassi Libertà fino a un certo punto poi prevalse l'autocensura» « i ROMA N Italia i cosiddetti "degenerati" venivano eseguiti. Invece per noi - Malipiero, Casella, Dallapiccola e anch'io, i "degenerati italiani" - in Germania non c'era ascolto: eravamo proibiti». Negli Anni Trenta, Goffredo Petrassi, un giovane compositore che stava allora rivelando il proprio genio, venne nominato direttore artistico del Teatro La Fenice. I ricordi di quei momenti sono nitidi, come il suo giudizio. «Il fascismo è durato a lungo e fino a un certo punto ha lasciato assoluta libertà ai musicisti, a differenza di quanto accadeva negli altri regimi totalitari, in Germania e in Unione Sovietica. Pubblici processi, condanne, richieste di abiura non ne abbiamo subiti. Non c'erano divieti ufficiali, avevamo autonomia di espressione e nel mio ruolo alla Fenice non ho mai ricevuto pressioni per favorire un linguaggio invece che un altro. L'esempio più significativo, giustamente ricordato da Pestelli, fu l'esecuzione del Wozzeck a Roma nel '42. L'anno dopo, con i nazisti padroni della città, naturalmente non sarebbe stato possibile». Fino a un certo punto... Quale? «La svolta si è avuta con le leggi razziali e il divieto di eseguire i compositori di religione ebraica. Allora, con il precipitare degli avvenimenti politici e l'accentuata dipendenza anche culturale dalla Germania, in molti musicisti si è instillato, insidioso e sottile, il veleno dell'autocensura, la paura di non compiacere i governanti. Il gusto mortale dell'autocastrazione, di cui nel saggio di Pestelli si rammentano non pochi esempi, anche in autori di primissimo piano». Quali conseguenze ha avuto la decisione di Mussolini di demolire, nel 1936, la sala dell'Augusteo, per consacra- re quella zona di Roma alla retorica dell'Impero? «Devastanti. E' stato annientato l'unico Auditorium italiano, e la capitale ne è tuttora priva. Ogni domenica si poteva ascoltare una novità, italiana o straniera, il rapporto tra compositore contemporaneo e pubblico era ancora diretto, fluido, protetto dalla qualità delle esecuzioni. Nel '33 Ernest Ansermet eseguì la suite del Wozzeck, due anni dopo la cantata Der Wein. Una concezione forse idealista dell'arte la proteggeva da un uso immediatamente politico, dalle tentazioni più autoritarie». Chi si opponeva alla liberalità di Bottai? «Il becerume provinciale e nazionalista, di cui certo non sono mancati gli esponenti. Trovava il suo paladino in Farinacci, ma non bastava a impedire l'apertura internazionale consentita dai grandi festival musicali nati proprio negli Anni Trenta». Caduto il fascismo, altro uomo politico ha avuto il potere e l'attenzione dimostrati da Bottai verso l'arte contemporanea? «Fortunatamente nessuno. Non c'è stato più bisogno di riconoscersi in un gerarca per essere difesi. Ma una cosa è rimasta identica: la differenza tra imbecilli e no. Quella persiste sempre», [s. cap.] «Ma il duce ha demolito l'AugusteodiRoma, unico auditorium d'Italia» A lato Petrassi, sopra Mascagni sul podio dell'Augusteo a Roma

Luoghi citati: Germania, Italia, Roma, Unione Sovietica