La foresta perde la regina di Fabio Galvano

U allarme da Londra: il governo indiano non fa nulla per proteggerla la foresta perde la regina Troppi bracconieri, tigre condannata UNA STRAGE SENZA FRENI TIGRE, addio. La regina degli animali muore. Dopo tanti allarmi e campagne ecologiche, pare proprio che il mondo degli uomini non abbia più posto per lei. Sono già estinte - talune in anni recenti - quelle di Bah, del Caspio, di Giava. Restano 50 esemplari della tigre cinese, 160 di quella siberiana, 400 di Sumatra: tutte ormai condannate dalla legge dei piccoh numeri. Anche le rimanenti 1000 tigri d'Indocina - sul filo della sopravvivenza - sono in agonia. E ora, nonostante una lotta durata più di vent'anni e che a tratti era anche parsa dare incoraggianti risultati, anche la maestosa tigre del Bengala - la tigre di Rudyard Kipling ma anche di Sandokan e Yanez - ha imboccato il suo viale del tramonto. Muore per colpa dei bracconieri e di chi non li ferma, precisa un rapporto dell'Eia, l'agenzia investigativa per l'ambiente che ha sede a Londra: per colpa, in definitiva, del governo indiano che non la protegge. L'accusa è grave, ma circostanziata. Il rapporto dell'Eia - «La crisi della tigre in India» - accusa di negligenza il primo ministro Narashuna Rao e l'intero governo, oltre alle autorità degli Stati coinvolti (in primo piano l'Assam). I cacciatori di frodo, che alimentano lo stucchevole mercato di una medicina orientale in cui pelle, ossa, denti, artigli e ogni altra parte della tigre vengono apprezzate e usate per le loro qualità «magiche», si muovono praticamente indisturbati, mentre i guardacaccia ormai disincentivati non vedono da mesi il loro magro stipendio e gli elefanti con cui si muovono nella giungla sono affamati e in qualche caso addirittura tisici. L'Indian Board for Wildlife, il comitato governativo cui è demandata la protezione della tigre, non si riunisce da otto anni. Insomma: della tigre di Salgari e del poeta William Blake non restano che 3030 esemplari. Ma il massacro dei bracconieri, secondo il rapporto dell'Eia, è ormai a un ritmo di due animali al giorno: fra pochi anni - cinque, sei, otto, il numero esatto conta poco - anche quel ruggito non si sentirà più. Per capire che cosa stia realmente accadendo a quell'animale, simbolo della natura più selvaggia e di un mondo d'avventure ormai scomparso, basta andare a Manas, nell'Assam. Manas è uno dei parchi nazionali in prima linea nella battaglia per la tigre. Sono 3 mila chilometri quadrati ai piedi del Bhutan, considerati - per le grandiose foreste, gli immensi prati, i fiumi e i torrenti - un Eden indiano. Fra gli animali protetti ci sono anche rinoceronti, elefanti, bufali, un particolare tipo di leopardo. Fu addirittura uno dei primi parchi creati nel 1973 nell'ambito del «Progetto Tigre», come ricorda un cartello ben visibile: iniziativa d'emergenza nata in collaborazione fra il governo indiano e il Wwf. A Manas erano rimaste 31 tigri, ma nel giro di pochi anni il loro numero sarebbe salito a 120. Oggi ne sono sopravvissute una manciata. I dati ufficiali dicono 94, ma mentono: i mahout sul dorso dei loro elefanti dicono che delle tigri non si vedono più neppure le tracce nel fango. Anche gli altri animali hanno sofferto: dei cento rinoceronti ne restano una dozzina, dei 500 daini di palude - il pane quotidiano della tigre - non c'è quasi più traccia. Durante il loro sopralluogo gli 007 dell'Eia hanno raccolto testimonianze su una ventina di cacciatori di frodo che si muovono ormai liberamente all'interno della riserva: a giugno uno dei guardacaccia è stato ucciso mentre a dorso d'elefante tornava alla base. La situazione è molto simile a quella di un altro importante parco dell'Assam, Kaziranga, dove restano non più di 70 tigri. Anche lì alcuni guardacaccia sono stati uccisi dai bracconieri, anche lì i miseri stipendi - sovente necessari per nutrire gli elefanti e per acquistare l'equipaggiamento che dovrebbe passare il governo - mancano per mesi di seguito. La struttura di Kaziranga, dicono quelli dell'Eia, regge ancora; ma quella di Manas sta per crollare. E tutto per colpa della superstizione. I bracconieri, infatti, si rivolgono a un mercato redditizio. In 7 dei 14 Paesi dove la tigre vive ancora, secondo quanto rivela il Wwf, uno scheletro di tigre vale l'equivalente di dieci anni di salario. Ma non solo quello è ricercato: ogni organo serve a confezionare pozioni care agli stregoni orientali (e soprattut¬ to cinesi). I denti di tigre, si dice, curano l'idrofobia e l'asma, il sangue serve per dare energia e accrescere la forza di volontà, i baffi sono miracolosi per il mal di denti, naso e occhi sono proprio quello che ci vuole per epilessia e convulsioni infantili. Tutto serve: il grasso che è un rimedio contro vomito, morsi di cane ed emorroidi, la carne che cura indifferentemente nausea, malaria e male di stomaco, la pelle che è toccasana miracoloso per le malattie mentali, la coda che serve a innumerevoli malattie della pelle, i testicoli che tengono lontana la tubercolosi dei noduli linfatici. Di fronte a quella domanda inarrestabile i poveri guardacaccia di Manas perdono il controllo della situazione. Anche perché i bracconieri, le rare volte che vengono identificati e arrestati, riescono quasi sempre a farla franca. Sansar Chand, il più noto mercante in¬ diano di animali rari, resta in libertà nonostante una Usta di oltre 40 mcriminazioni cominciata nel 1974. Peggio, certi funzionari che lo avevano braccato sono stati trasferiti. Per controllare il parco di Kaziranga e le zone circostanti circa 2 mila chilometri quadrati ci sono 459 uomini, con mezza dozzina di vecchie jeep (ma niente gasolio), quattro motoscafi troppo costosi da usare ma essenziali durante la stagione dei monsoni quando il Brahmaputra inonda una vasta zona dell'Assam, 41 elefanti («Dove l'erba è alta cinque metri diventano essenziali per muoversi, ma anche loro hanno bisogno di carburante e manutenzione», spiega Punkaj Sarma, uno dei responsabili). Gli uomini - lontani dalle famiglie nelle misere capanne su palafitte dove manca persino un filtro per rendere più potabile l'acqua - vivono un'esistenza di stenti e pericoli, fra sanguisughe, cobra, zanzare della malaria. Non ricevono neppure le batterie per le torce elettriche, essenziali per la sorveglianza notturna: «Siamo stufi di comperarle noi». E' una lotta impari. E dal 1989, nel parco di Manas, ci si sono messi anche i ribelli Bodo, che nella loro guerriglia d'indipendenza hanno altro a cui pensare che l'ambiente e la tigre. Anzi, essi rendono le cose più difficili: distruggendo ponti, incendiando accampamenti, sparando ai guardacaccia. E mancano i fondi: ne sono arrivati, quest'anno, la metà di quelli promessi. Sono i giochi dell'uomo, intanto la tigre muore. Ancora cinque anni. Poi, forse, resterà soltanto qualche esemplare bolso e sonnacchioso negli zoo di un esilio salvavita. Oppure quella, ridotta a spot tv, rintanata in un motore, l'unico che la farà ancora ruggire. Fabio Galvano allarme da Londra: il governo indiano non fa n

Luoghi citati: Bhutan, India, Londra