Bill chiude gli scandali con un «non lo farò più» di Foto Reuter

Bosnia, sparatoria sul confine 5 morti e feriti La questione morale non scuote la campagna: Clinton resta saldamente davanti a Dole Bill chiude gli scandali con un «non lo farò più» NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO Questione morale? No, grazie, risponde l'America trovandosi di fronte all'ultimo scandalo clintoniano, quello dei finanziamenti illeciti rastrellati in Oriente. I network televisivi sciorinano sondaggi e cifre, ma la morale è sempre la stessa: gli americani non vogliono un santo, un eroe, un mito. Vogliono soltanto un Presidente che faccia il suo mestiere senza creare danni alla collettività. Quanto ai suoi piccoli imbrogli, che importa? E' un politico, e l'uno vale l'altro sotto questo profilo. Fatalismo e un po' di qualunquismo, come in ogni Paese. Bill Clinton appare fulmineo e ubiquo in tutti i notiziari e a tutte le ore del giorno e della notte. Eccolo in New Mexico, vestito di blu: un fantastico campaigner, nessuno sa stare come lui in campagna elettorale. La faccia, color bronzo, è la faccia di chi ha deciso di infischiarsene degli intrallazzi del signor John Huang e del sistema di scatole cinesi (cinesi di Taiwan) usate per incamerare miliardi di lire in nero in barba alla legge. Sdegnoso, il Presidente non commenta i miliardi che gli sono finiti in tasca per mano dei formosiani o dei buddhisti. Parla soltanto di alta politica, ci mancherebbe. Dall'altra Bob Dole, frustrato e perdente. Lui, conservatore e settantenne, veste spericolatamente giovane: giacca a vento bianca, berretto da baseball, tutto in tiro. La faccia tirata ce l'ha perché non ha visto crescere neppure di un voto la sua platea elettorale, malgrado lo scandalo che ha investito Clinton. In altri tempi per il candidato sfidante sarebbe stata una manna. Oggi niente. Sì e no un cinque per cento di voti di protesta è andato a polarizzarsi vanamente sulla curva di quel furetto di Ross Perot, vero jolly e curiosità anche di queste elezioni che sta agendo come un ariete sul sistema bipartitico americano. Lui picchia. E colpo dopo colpo è riuscito ad aprire una breccia nel sistema bipartitico che certamente aprirà falle maggiori e forse farà venire giù la diga. Perot è il personaggio che sa udire e decifrare i vagiti del futuro: nemico della partitocrazia, nemico dei burocrati, sarcastico, vincente nella vita, è un visionario lucido della nuova frontiera, ma è allo stesso tempo un profeta disarmato e visibile. Domina i talk show, è il beniamino delle folle, tutti dicono che ha ragione. Ma nessuno lo voterà, perché l'America non vuole grane, non vuole avventure, non vuole null'altro che godersi il benessere e la pace finché durano. Calma piatta, dunque. Ma attenzione: il fatto che non ci sia una bava di vento non vuol dire affatto che sotto non covi la tempesta. La tempesta arriverà dopo, quando Clinton sarà insediato per la seconda e ultima volta alla Casa Bianca. E arriverà l'ora della resa dei conti. Secondo qualcuno dell'impeachement. Per adesso si avverte qualche brontolio: ieri una portavoce del partito del Presidente ha chiesto scusa per lo scandalo, promettendo solennemente che non succederà più. In altri tempi questa sarebbe stata un'ammissione di colpa clamorosa, tale da poter capovolgere le sorti della campagna elettorale. Ma se andiamo a misurare le lancette dell'elettroencefalogramma, scopriamo che il Paese è, reattivamente parlando, in coma profondo. Come si spiega? Eppure questo era un Paese che usava appassionarsi per le grandi questioni morali, che si lacerò per la guerra del Vietnam, che non ha cessato di rimuginare sull'omicidio Kennedy e i suoi misteri, un Paese che spinse il più imperiale suo presidente, Richard Nixon, a dimettersi per faccende (con gli occhi di oggi) di piccoli imbrogli e molta arroganza. E prima di lui a far dimettere il suo vice Spiro Agnew, tant'è che Gerald Ford, uomo del Parlamento mai investito dai voto, diventò prima vicepresidente e poi Presidente al posto di Nixon. Seguì il Billygate che crocefisse il presidente Carter e durante la straordinaria epopea di Ronald Reagan gli Stati dell'unione si sentirono lacerati per lo scandalo Iran-Contras. Superata la presidenza Bush con la fine della guerra fredda, se si scongelarono le relazioni EstOvest, si congelarono invece progressivamente i nervi sensori degli Stati Uniti. Così si arrivò a Bill Clinton: l'ex governatore dell'Arkansas ereditò un Paese apparentemente in rovina, ma la cui locomotiva industriale era già lanciata sui binari della ripresa. Clinton si mise alla guida e azionò più volte il fischio del vapore, ma il Paese andava, appunto, come un treno e così i cittadini dell'Unione hanno ripreso fiato, si sono chiusi in se stessi, hanno cercato lavoro e l'hanno trovato (più di dieci milioni di nuovi posti), hanno cercato benessere e l'hanno trovato, scoprendo di non avere più nemici planetari. E' stato a questo punto che l'America ha cambiato atteggiamento e ha tirato i remi in barca mentre dai suoi precordi isolazionisti una sola parola d'ordine cresceva: relax. Subito dopo gli americani hanno cominciato ad ingrassare come non mai, ma anche a pensare alla salute in maniera ossessiva: pronti alle crociate contro fumo, alcol e droghe non rinunciano a mangiare più del dovuto, ma consumano voracemente i «fat burners», le pillolone che dovrebbero bruciare i grassi, insieme alle fatiche della palestra. Un po' di cupio dissolvi e un po' di edonismo salutista. E tutto all'insegna dell'oblio. Quando sono cominciati gli scandali clintoniani e le chiacchiere sulla famiglia reale, gli americani ne hanno preso atto come si fa con le puntate di una telenovela: molti pettegolezzi, qualche libro, ma nessuno scossone. Relax, non ci faremo il sangue cattivo per questo. Quel che conta è che il Presidente giovane, furbo, abile, vincente, non sarà uno stinco di santo ma sa governare. Oppure non saprà governare, ma è fortunato. Tanto meglio. Ho sott'occhio l'ultimo sondaggio commissionato dal quotidiano Usa Today insieme a Cnn e Gallup: i votanti dicono di preferire un Presidente che sappia il fatto suo, di greater weight on competence, piuttosto che nella personalità, il character. Meno ideologia e più management. Lo slogan più popolare è: «For a leader who can moke the Government workn, un leader che sappia rompersi la schiena al suo posto di lavoro, come un qualsiasi operaio o impiegato. Bob Dole? Guardatelo: un ideaUsta sopravvissuto, un povera invalido. Gli affidereste il vostro fondo di investimento? Bill Clinton è tenuto su dall'elettorato femminile e da una larga fetta di quello giovanile. Dunque, l'elettorato che conta. Il resto? Non ha storia. Relax. Paolo (Suzzanti Dole con la moglie e gli ex presidenti Ford e Bush e (a destra) Clinton con un paio di stivali «presidenziali» [FOTO REUTER]