Il boia di Srebrenica reso pazzo dalla pace
Il boia di Srebrenica reso pazzo dalla pace personaggio UFFICIALE E Il boia di Srebrenica reso pazzo dalla pace IN un bunker, seppellito sotto il verde complice e indifferente delle montagne di Pirot a 15 chilometri da Belgrado, un uomo grida parole. Le sue urla si perdono inutilmente tra stanze semivuote, affondano nel buio di corridoi tappezzati di carte geografiche, urtano contro i volti senza espressione di settanta miliziani armati fino ai denti che presidiano ogni ingresso. Forse un giorno, se quell'uomo massicio, rude e forte come un guerriero contadino è davvero morto, qualcuno raccoglierà le parole, ci aiuterà a decifrare il suo lungo delirio. Chissà se Ratko Mladic descriveva gli occhi dei bambini di Srebrenica, accarezzati con la stessa noncurante dolcezza con cui, pochi minuti prima, aveva ordinato di uccidere i padri o i fratelli maggiori. 0 i giorni dei trionfi di Zepa quando, con la degnazione e l'arroganza di un console romano, distribuiva davanti alle telecamere bottiglie di vino e sigarette ai bosniaci che si erano arresi, umiliati dalla sconfitta. 0 ancora il giorno in cui camminava dietro una lucida bara per un frettoloso funerale clandestino e accompagnava una dolce fanciulla di nome Anna, sua figlia. Si era uccisa perché il fidanzato, che lui, Mladic, aveva spedito in prima linea a Sarajevo, non era più tornato. Adesso che sussurrano sia morto, bisognerà scrutare la folle agonia di questo scomodo, imbarazzante «macellaio» dell'Europa di fine millennio. Perché capire quel delirio significa mettere la mano nella larga piaga della tragedia jugoslava. Mladic come Kurtz, l'ambiguo antieroe di Conrad (e di Apocalypse Now): il guerriero che dopo aver consumato la sua missione di sangue, dopo aver gridato senza sosta «uccidete, uccidete», si rifugia nelle regioni nebbiose della pazzia. Quando la guerra è finita, spiegava Elias Canetti, il guerriero superstite prova il brivido dell'onnipotenza, dell'invulnerabilità. Perché i compagni e i nemici sono morti, e il destino ha barbaramente dimostrato la sua preferenza. Mladic non ha mai respirato questo trionfo: le firme sulla pace di Dayton, che metteva un punto al mattatoio balcanico, erano ancora calde e lui ha cominciato a impazzire. Uccidere è un lavoraccio, subdolo, sporco, bisogna inoltrarsi nel sottosuolo, e gli uomini si logorano e si sfibrano. Mladic, infatti, era stato costruito per questo, anestetizzato nelle fibre più intime contro la pietà; con il furore etnico che ha occupato il posto lasciato vuoto dalle ideologie. Ma quando la missione che gli era stata affidata è stata di- chiarata (per ora) chiusa, questo anacoreta della morte si è accorto che la guerra non può essere ridotta a geometria, che nasce sempre dal grembo della politica: e si è sentito inutile, vuoto. Se la Morte accelerava il suo passo, Mladic, il macellaio, aveva una sua identità, poteva esistere; poteva perfino sperare di spazzare il terreno davanti ai posteri e conquistare una ambigua gloria. Il guerriero, oggi come ai tempi di Omero, è un uomo che si muove su confini incerti, che sceglie volontariamente di addentrasi nelle regioni oscure della tragedia e della morte. Mladic, figlio di un uomo massacrato dagli ustascia nel '43, ha accettato di portare su di sé il tabù supremo, quello della morte, inferta e subita. E' diventato la belva, il macellaio, il boia. Ma aveva bisogno di una cambiale ideologica, di un lasciapassare che distinguesse il suo «lavoro» da quello dell'assassino. Per il generale era il sogno della Grande Serbia, la mitologia del popolo assediato dall'invidia del mondo, erano le innumerevoli vendette da tirar fuori da un passato tappezzato di sangue. Poi un giorno i politici di Pale e di Belgrado hanno riavvolto il filo della Storia, e lo hanno lasciato impazzire. Da solo. Domenico Quirico Cercò di coprire il sangue delle vittime col sogno della Grande Serbia ma ora tutto è finito
Persone citate: Domenico Quirico, Elias Canetti, Kurtz, Mladic, Ratko Mladic
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