Metà Marghera sfila con Bettin

Si difende l'uomo sospettato d aver fatto parte del commando «Un bluff per allontanarmi» Striscioni, volantini, ma una parte del quartiere è rimasta barricata in casa Metà Marghera sfila con Bettin In duemila alla marcia di solidarietà con il sindaco UN IMPEGNO NEL MIRINO MARGHERA DAL NOSTRO INVIATO Se cerchi un bar, in questo posto di palazzi lanciati contro al cielo, non lo trovi. Anche la sede di un partito non la trovi, nemmeno quella del pds, che eppure qui raccoglie un sacco di voti. L'unica chiesa, invece, la stanno costruendo sull'unico campo di calcio che c'era e che non c'è più, come racconta Tatiana, e per ora è solo un cantiere senza una croce e senza le preghiere. 1 bambini in compenso possono giocare con la droga, al posto del pallone, dice Antonella, «e ogni tanto succede che arriva un tossico disperato a chiedergliela pure a loro». Questa è la Cita, dove il miracolo del Nord-Est. è rimasto con una faccia antica, segnata dalla chimica e dagli Anni 70, dagli operai che hanno costruito le loro chiese nelle fabbriche, e vien da piangere se adesso son rimasti gli scheletri d'acciaio, le torri vuote, le ciminiere abbandonate. Eppure, questo non è il passato. E' ancora il presente. La Cita è mi quartiere ài Marghera per il quale un sindaco ha subito un trattamento colombiano, con tanto di rapimento e finta esecuzione. Solo perché lui, raccontanoA «ne denunciava la violenza, l'occupazione malavitosa». Gianfranco Bettin adesso sfila con Marghera e con Massimo Cacciari e con il patriarca di Venezia Marco Cè, nelle strade buie, in questa dimensione irreale di giardinetti pretenziosi, di palmi di prato all'inglese, e di lugubri palazzi che si arrampicano nel cielo con 308 finestre disegnate come fessure nei blocchi di cemento colorati di marrone. Se tutto questo ha un senso, è lo stesso che troviamo in altri angoli di un Paese corroso dalla sua violenza e dalla sua ricchezza, in altre storie incredibili che ci regala la sua disperazione. Allora, oggi Gianfranco Bettin è come se avesse il volto più scavato, le occhiaie più profonde. La paura marcia, è normale, un giorno dopo l'altro. Tatiana dice che «qui gli siamo tutti debitori, perché è l'unico che s'è occupato dei nostri guai e di qualche orrore». Mario, invece, che abita al 4° piano della torre n. 27 e che ha i capelli rossi e una tuta blu, soffia che lui ci crede «pochissimo a questa storia: per me se l'è inventata». I pareri sono opposti. Ma tutt'e due in comune hanno un silenzio. Quello sui cognomi. Perché qui i cognomi sono come la paura: non si confessano. Solo Armanda Seno e Crescenzo Napolitano li sbattono tranquillamente in faccia ai cronisti. Lui, l'hanno sospettato di essere il complice del bandito che ha rapito e fìnto di uccidere Bettin. Sta partendo per rientrare in carcere a Modena. Dice: «Io rispetto il sindaco. E' una cosa arclùtettata contro di me, per farmi fuori da qui. Vogliono prendere il posto che avevo io». Lei è la sua convivente e parla sottocasa. Davanti a una scritta schizofrenica, come questo posto: «W Milan di merda». Racconta che si sono conosciuti in carcere 3 anni fa, scrivendosi delle lettere: «Mio fratello faceva da intermediario». Lei era sposata con un altro, Beppe D'Este, che l'hanno trovato mor¬ to in questo palazzo, nella sua casa, due anni fa. Accoltellato. Un lago di sangue. «Si è ucciso», dice. «Per gioco. Era un ubriacone». Invece, gli inquirenti sospettarono che l'avesse ucciso lei. Solo che alla fine non trovarono niente. Di questa storia, di Bettin, dice come Mario del 4° piano che è un bluff, «manco Crescenzo fosse Al Capo- ne». Ma lui «non è vero che ha picchiato la gente, e non è vero che ha picchiato i bambini, che spaccia la droga». Ha 30 anni e 12 ne ha passati in galera, «però è uno generoso: solo guai a chi gli pesta i piedi perché diventa una bestia». E lei ce l'ha un la-, voro? «Quello che capita. Faccio la serva, se no spaccio droga. Dipende dagli schei. Perché io sono pazza per i soldi». La paura della gente? «Sta gente è maledetta, non sono ca- paci di farsi gli affari loro». La manifestazione di stasera? «Io non ci vado. Dovrei andarci a sputare in bocca a questi 4 infami, 4 cessi, che ti salutano per paura. Noi abbiamo avuto il coraggio delle nostre azioni. Questi sono cessi solo pieni di paura». Alla sera, però, la manifestazione raccoglie soltanto duemila persone. Volantini: «Gianfranco, va avanti». Bandiere dei verdi. Uno striscione dalla Fincantieri. Ma più di 2 mila sono le persone che restano barricate in queste torri alla Cita. Forse non sarà la paura, ma qualcosa di più angosciante, di più lacerante. Sul pianerottolo, al 12° piano della torre n. 27 dove abitano l'Armanda e Crescenzo, c'è solo il santino di sant'Antonio: «Prega per noi». E di notte, la luce non s'accende. Nemmeno sul santino. E Isa, Antonella e Silvia spiegano perché è difficile fare tardi da queste parti: «Ci sono i tossici per le scale, è pericoloso». E Tatiana racconta di sua madre che è stata aggredita in ascensore da un tizio con il volto mascherato e i guanti neri alle mani: «Le puntava un coltello alla gola. Solo che mia mamma reagì proprio per la paura, e quello scappò». Alla fine, la cosa che colpisce di più di tutti questi racconti è la normalità della violenza, e l'assenza di un'altra normalità, quella della pace. Per questo, Isa e le sua amiche parlano delle loro panchine. Stanno su un dosso del praticello, sotto alle torri che incombono, trattenute al selciato dalle catene: semplicemente per non farle rubare. «Perché le abbiamo comprate noi, facendo una colletta, mettendo 5 mila lire a testa, e non vogliamo che ce le portino via». Cinque panchine, 70 mila lire l'una, solo per stare insieme a chiacchierare, per fare gruppo in un posto dove non c'è un bar per trovarsi, dove non c'è più un campo di calcio per giocare, dove non c'è un angolo per innamorarsi a vent'anni. Eccola l'altra faccia del miracolo del Nord-Est. Qui non ci sono extracomunitari, qui non c'è l'immigrazione selvaggia. Qui c'è l'eredità disordinata del mondo del lavoro degli Anni 70, qui c'è la frontiera fra il disagio e il crimine. Ed è vero, come dice Bettin, che «anche questa è una faccia del nostro miracolo, perché è stata riciclata nei settori sommersi parte della nostra ricchezza». Qui, dove alcuni inquilini non riescono nemmeno a pagare l'affitto di 300 mila lire al mese, dove in alcuni palazzi non arriva ancora l'acqua calda. Qui, tre negozi e formicai. E sulla porta di un negozio c'è il bando di un concorso. «Come vorresti il tuo quartiere? Tutti i ragazzi dai 6 ai 16 anni potranno far pervenire elaborati sul tema». Susanna dice che se lei fosse una bambina cercherebbe di raccontare mi miracolo. Non quello del Nord-Est. «Come in un film di Frank Capra», dice. Peccato. I veri miracoli devono essere quelli che non si realizzano mai. Sono come i sogni. Oppure no. Sono più piccoli, forse sono come quelle panchine sul dosso del praticello. Isa dice che solo lì, qualche volta, non si accorgono che è arrivata la sera. Che è scesò il buio. Pierangelo Sapegno Si difende l'uomo sospettato d aver fatto parte del commando «Un bluff per allontanarmi» Una ragazza: gli siamo debitori è l'unico che si è occupato dei nostri orrori quotidiani Da sinistra il sindaco di Venezia Massimo Cacciari e Gianfranco Bettin vice sindaco della città e primo cittadino di Mestre e Marghera

Luoghi citati: Modena, Venezia