L'UOMO CHE FILMAVA LA POESIA di Guido Ceronetti

Il secondo martirio di Kabul L'UOMO CHE FILMAVA LA POESIA cinema è morto, mortissimo, lo vado ripetendo con accanimento inutile da anni, ormai è puro zombismo miliardario, zombismo televisivo, oppure documento. Il cinema-documento, il kinopravda è vivo: il cinema-narrazione è spento. Carnè fece film narrativi nel tempo giusto, quando il vento di quel tipo di creazione d'arte soffiava sulla vecchia Europa che non aveva ancora perso uno dei suoi massimi tesori: le sue strade, la proprietà delle sue strade, l'uso per gli esseri viventi delle strade, quantunque già mescolati a macchine, sotto l'incombere dell'inorganico invasore, con tutta una gamma di sonorità musicali in pericolo... Ed è in quel crepuscolo, in quel combattimento tra luci e ombre della nostra esistenza urbana, che Carnè collocò le sue scenografie volgarmente dette e credute «realistiche» mentre erano fiori del più bell'immaginario sociale succhiato dal pungiglione dell'arte, di un'arte visiva e sonora che strappa ancora il consenso e lo struggimento: i paesaggi urbani di Le jour se lève («Alba tragica» in italiano), di Quai dei brumes («Il porto delle nebbie»), di Hotel du Nord, che oggi appaiono per quello che realmente sono, visioni, fantastiche, meravigliose visioni... Una sciagura: questi capolavori da riproiettare in piccole sale finché ne dura la celluloide, sono ormai finiti nel letamaio turpe del videocassettismo, comprabili da chiunque non abbia vergogna di arredarsi la casa con mercanzia simile e risuscitare l'immagine e il suono indimenticabili stando buttato su un divanaccio, facendoli zampillare una, dieci, cento volte da un innaffiatoio radiante, un po' prima dell'Ora Porno. Il cuore li conserva intangibili e giura che non lascerà mai solo Marcel Carnè, uno dei suoi più umani dilatatori. Guido Ceronetti

Persone citate: Carnè, Marcel Carnè

Luoghi citati: Europa