IL CONSIGLIO di Dario Voltolini

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Dario Voltolini LO scrittore deve poter vivere del proprio lavoro? Oppure, per essere libero, deve risolvere lontano dalla scrittura i propri problemi economici? Si scrive per se stessi o per il pubblico? E la critica, che rapporto ha con gli scrittori? ■ Quale è il suo compite? Come lo svolge? E le riviste? E gli editori? E il momento iniziatico dell'esordio? E quale peso ha il successo? Sono interrogativi che spesso girano a vuoto, più volte e sotto varie forme riproposti. Interrogativi che sollecitano risposte opposte e parimenti sostenibili. Il perno attorno a cui ruota questa giostra è la figura, sfuggente e ambigua, dello scrittore. Consiglio di dare sostanza a tale figura leggendo un grande libro: Martin Eden, di Jack London (Einaudi, pp. 394, L. 20.000). QUANDO GLI ELEFANTI PIANGONO Masson e McCarthy Baldini & Castoldi pp. 425 L 30.000. HE piacere leggere un libro che convalida, con dovizia di esempi e di argomentazioni, la tesi che hai sempre sostenuto. Che cioè gli animali, al pari di noi, soffrono, godono, sognano, provano dolore e piacere, angoscia e paura. Che amano il gioco e usano utensili. Che sono curiosi, astuti, fedeli, gelosi, ladri, bugiardi, opportunisti, diffidenti, altruisti. Che posseggono una forma, sia pure primitiva, di cultura. Che fanno la guerra e la pace. Il libro in questione è Quando gli elefanti piangono. Sentimenti ed emozioni nella vita degli animali. Autori, lo psicanalista Jeffrey Moussaieff Masson e la biologa giornalista Susan McCarthy. Quando si sostiene una tesi del genere, il meno che ti possa capitare è l'accusa di antropomorfismo, una sorta di bestemmia scientifica. Dicono i biologi tradizionalisti: «Attenzione! Non attribuite al comportamento degli animali le motivazioni e gli intenti che ispirano i nostri modi umani di agire. Non umanizzate le bestie!», Sono quasi tutti seguaci di Watson, questi ostinati negatori della sensibilità animale. Watson è il filosofo americano che nel 1913 promulgò la teoria del behaviorismo (dal termine inglese «behavior» che significa «comportamento»). Secondo questa teoria le esperienze mentali degli animali non sarebbero degne di considerazione scientifica. Si ritorna così alla concezione di René Descartes, meglio noto come Cartesio, il filosofo che nel diciassettesimo secolo proclamava solennemente che gli animali sono semplici automi, privi di coscienza. Questo significa chiudere gli occhi di fronte all'evidenza. Come si fa a giudicare insensibile un essere meravigliosamente intelligente come il cane che ti fa capire chiaramente quando vuole uscire, che abbaia festosamente quando sente che stai varcando la soglia di casa, che abbassa la coda mortificato quando lo rimproveri? Le persone comuni, che posseggono cani, gatti o altri animali domestici e ne osservano il comportamento senza pregiudizi sono convinte che i loro compagni a quattro zampe provino emozioni e abbiano sentimenti di varia natura. Perché la scienza ufficiale deve assumere un atteggiamento di così totale chiusura in questo campo? Anche negli animali selvatici si osservano comportamenti finalizzati che presuppongono premeditazione e intenzionalità. Jane Goodaìl ha visto scimpanzé trasportare ramoscelli da grande distanza per servirsene come utensili nella «pesca» delle termiti. E' evidente che avevano già in mente il loro piano di azione. David L. Mech ha notato che i lupi, quando fanno la caccia di gruppo, si dispongono in modo che la preda nella sua fuga disperata vada a incappare proprio nelle grinfie di un compagno appostato in agguato. Lo psicologo Benjamin B. Beckett ha scoperto che il gabbiano reale, quando lancia dall'alto la conchiglia appena pescata, cerca intenzionalmente di farla cadere su una superficie dura, perché così la conchiglia si rompe e lui potrà mangiarsi la tenera carne del mollusco che vi è racchiuso. E' innegabile che in questi animali vi sia consapevolezza, capacità di previsione, intenzionalità. Perfino Darwin era di questo avviso, quando pubblicò nel 1872 il volume L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali. Darwin scriveva, tra l'altro: «Possiamo essere sicuri che un vecchio cane con una memoria eccellente e un po' d'immaginazione, non rifletta mai sui piaceri che ha provato in passato nella caccia?». Per lui dunque il cane prova anche nostalgia. L'opinione del grande naturalista era apertamente in contrasto con l'allora imperante teoria cartesiana, una teoria resuscitata dal behaviorismo, che si direbbe sia dura a morire. Pochi scienziati sono riusciti a scrollarsela di dosso e fra questi il padre dell'etologia, Konrad Lorenz, che parla apertamente di gelosia e di fedeltà, di simpatia e di odio tra le oche selvatiche, gli animali a cui ha dedicato gran parte della sua vita. E' nel 1976 che l'etologo Donald R. Griffin lancia un sasso nello stagno con il suo libro The Question of Animai Awareness seguito nel 1984 da Animai Thihking. Una vera provocazione parlare di consapevolezza e di pensiero degli animali. Ma si tratta di due opere intellettualmente stimolanti che fanno indubbiamente meditare. E poco alla volta un numero crescente di etologi, psicologi e filosofi, specialmente britannici e americani, è portato ad ammettere che anche le bestie, soprattutto quelle più evolute, sono capaci di emozioni e di sentimenti. Ora che lo sappiamo, è assolutamente necessario instaurare con loro un rapporto diverso, un rapporto più «umano». Quando gli elefanti piangono è una stupenda efficacissima arringa in favore di questa tesi. Isabella Lattea CoHmann