I DELUSI DI MOSCA di Angelo D'orsi

I DELUSI DI MOSCA I DELUSI DI MOSCA Tra intellettuali e comunismo un rapporto rotto prima del '56 Dal viaggio di Gide alla Spagna di Koestler, da Silone a Mieli Gusen, in un disegno di Belgiojoso I ricordi di Belgiojoso: «Ancora oggi mi chiedo come Hitler avesse potuto organizzare ima macchina di morte così perfetta» In questo inferno Belgiojoso allaccia grandi amicizie, cerca di rafforzare le proprie qualità umane per sentirsi meno «nudo» di fronte al nemico: recita poesie, usa la cultura come merce di scambio per ottenere qualche piccolo favore. Si sparge la voce che è un nobile, un «principe», e vengono dalle altre baracche per toccarlo come fosse una reliquia. Con i ritagli di alluminio, raccolti in fabbrica, Lodovico e un suo amico fanno croci e medagliette da dare alle prostitute francesi e polacche destinate ai Kapo, in cambio di una razione in più di cibo. Sono le piccole fortune che aiutano il giovane «ingegnere» a sopravvivere, insieme alla buona conoscenza del tedesco e all'abilità manuale. «Soltanto uno su dieci si è salvato dai campi. Ancora oggi mi chiedo come avesse fatto Hitler a organizzare una macchina così perfetta di morte. Io non odio i tedeschi, se no starei fresco - commenta con piglio giovane - ma certo li considero un po' pericolosi». 1956 Marcello Flores // mulino pp.147 L. 18.000 NDRE' Malraux disse un giorno che tutti gli intellettuali Sandra Artom Flores // mulino pp.147 L. 18.000 francesi erano stati comunisti o gollisti, e in molte occasioni prima comunisti e poi gollisti. Parlava anzitutto di sé, naturalmente, e delle simpatie che egli stesso aveva provato per la «patria del socialismo», all'epoca della rivoluzione di Shanghai e della guerra di Spagna, prima di schierarsi a fianco del generale De Gaulle. Ma la battuta contiene una parte di verità e si adatta, con qualche variante, aH'intelligencija di tutti i Paesi europei. Il quarantesimo anniversario della rivoluzione ungherese ci ricorda che esiste un grande «Libro dei delusi» in cui sono iscritti, fra gli altri, i nomi di John Dos Passos, André Gide, Arthur Koestler, George Bernard Shaw, Ignazio Silone, Richard Wright. Il libro si compone di tanti capitoli quante sono le cause della delusione. Ne propongo cinque: il viaggio in Urss, la guerra di Spagna, il patto tedesco-sovietico del 1939, il rapporto segreto di Krusciov al XX Congresso del partito, la repressione dei moti ungheresi. A ciascuna cU queste cause corrisponde un numero importante di conversioni. Potremmo catalogare i delusi, se lo volessimo, indicando accanto a ogni nome, con una sigla, la ragione della delusione: v. per viaggio, g. s. per guerra di Spagna, m. r. per i protocolli segreti firmati da Molotov e Ribbentrop, r. s. per rapporto segreto, r. u. per rivoluzione ungherese. Il viaggio fece vittime fin dall'inizio. La delusione di Angelica Balabanoff cominciò immediatamente dopo la rivoluzione mentre lavorava con Zinovev negli uffici della III Internazionale. Quella di Gide esplose sulla Piazza Rossa mentre ascoltava le orazioni funebri per la morte di Gorkij. Quella di Shaw, quando si accorse che la Russia aveva fame e che fra le carrozze del suo treno ve n'era una su cui i padroni di casa avevano caricato ogni ben di Dio per sé e per l'ospite straniero. Quella di Margarete Buber Neumann quando le arrestarono il marito (uno dei maggiori comunisti tedeschi) in una stanza dell'albergo Lux. I delusi della Spagna furono relativamente poco numerosi. Malraux, Orwell e Pacciardi si accorsero rapidamente che Mosca stava approfittando della guerra civile per eliminare brutalmente gli anarchici e i trozkisti. Ma Koestler ebbe una convalescenza più lunga e Nenni non capì, non vide o non volle vedere. Agli occhi dell'opinione progressista l'Urss continuò a rappresentare la parte nobile del salvatore. Molto più traumatici furono, qualche mese dopo, gli effetti del patto d'amicizia con cui la Germania e l'Urss, nell'agosto del 1939, si divisero la Polonia, il Baltico e un pezzo di Europa danubiana. Fu quello il momento in cui Koestler ruppe definitivamente con il comunismo e Altiero Spinelli si sbarazzò dei pochi dubbi che ancora gli restavano sull'egoismo imperiale della politica di Stalin. La guerra contro Hitler sbiancò l'Urss ripulendola di quasi tutte le sue colpe. Il rapporto segreto di Krusciov al XX congresso fu interpretato da molti comunisti come la dimostrazione che il partito sapeva correggere i suoi errori. Ma come spiegare la repressione dei moti ungheresi? Come giustificare la brutalità con cui i sovietici schiacciarono la rivolta, fucilarono i suoi capi, torturarono e uccisero Nagy? La tesi sovietica, secondo cui i moti erano il risultato di una congiura borghese, ordita dalle potenze capitaliste e pagata con il denaro degli americani, era palesemente incredibile. Nel grande «Libro delle delusioni» il 1956 occupa una posizione centrale. Soprattutto in Italia e in Francia è l'anno dello scisma o, se preferite, del grande esodo. L'intelligencija di sinistra si divise in due: da un lato quelli che decisero di avere torto con il partito pur di non pregiudi¬ care la causa della rivoluzione mondiale, dall'altro quelli che non accettarono di sottoscrivere le sue bugie. Fra quelli che uscirono dal pei vi furono alcuni fra i maggiori intellettuali italiani della seconda metà del secolo, da Italo Calvino ad Antonio Giolitti. Ma si trattò di un vero scisma? I delusi non ripresero la tessera, ma molti di essi continuarono a votare comunista. Come certi divorziati che non riescono a staccarsi dal coniuge, continuarono a vivere con il partito, ad andare in vacanza con il partito, a chiacchierare nei salotti del partito e a rientrare per l'ora di cena. La maggior parte di essi diventò «comunista indipendente» e qual- Bibliografia di un addio ELLA sua efficace sintesi su un anno chiave della politica mondiale, il 1956, Marcello Flores, mentre giustamente pone al centro gli elementi che videro l'esaurirsi della prima fase della guerra fredda (Suez, denuncia dei crimini di Stalin da parte di Krusciov, repressione in Polonia e in Ungheria) rinuncia deliberatamente a parlare dell'Italia. Dunque non vi si troverà in esso nemmeno un cenno ai tanti casi di coscienza che i più sensibili esponenti della sinistra vissero davanti ai terribili avvenimenti di quell'anno nel mondo «comunista»: il 1956 fu davvero «un anno di crisi» per gli assetti internazionali, ma lo fu anche all'interno della coscienza di molti individui. Dopo la guerra intestina che comunisti (staliniani) condussero contro comunisti eterodossi nella Spagna che lottava per la sua libertà contro il golpe del generalissimo Franco; dopo il patto Hitler-Stalin, che sembrò togliere l'ultima aria all'utopia liberatrice del comunismo; il 1956 fu l'altro grande momento di rottura che vide numerosi rappresentanti della migliore cultura internazionale voltare le spalle al simbolo della falce e martello che aveva incarnato le loro speranze. Qui di seguito, forniamo qualche suggerimento per chi volesse integrare il libretto di Flores con ulteriori letture proprio relative alle crisi causate dagli eventi del '56 nel «popolo della sinistra», per una cui ricognizione si può partire dalla recente, equilibrata biografia di Togliatti scritta da Aldo Agosti, Utet, dove troviamo elementi utili per collocare nel contesto della vita politica italiana e in particolare nel dibattito interno al Pei quegli eventi e le loro conseguenze. In particolare il tema degli intellettuali è svolto, giornalisticamente, nell'ormai lontano e celebre lavoro di Nello AjeUo Intellettuali e Pei, Laterza. Una testimonianza di uno di questi intellettuali con ambizioni non solo memorialistiche è quella dello storico Furio Diaz (La stagione arida, Mondadori), che all'epoca fu tra coloro che abbandonarono il parti- cuno, come Altiero Spinelli al Parlamento europeo, accettò la candidatura che gli veniva offerta da Botteghe Oscure. Forse ritennero che il partito comunista, nella situazione italiana, fosse l'unico capace di correggere le storture dello Stato democristiano. Forse osservarono con piacere che il pei stava cambiando pelle. Molti, tuttavia, cedettero semplicemente alle tentazioni e alle lusinghe di una t'orza politica che controllava alcune fra le maggiori istituzioni culturali del Paese. Gii intellettuali italiani sono come i gatti, affezionati soprattutto al calore e al comfort della casa in cui vivono. Sergio Romano Qui a fianco, Renato Mieli Sopra, a sinistra, la protesta popolare per le strade di Budapest nell'ottobre '56 lòppe del dissenso: il protocollo segreto Molotov-Ribbenti'op, il XX congresso pcus, l'invasione ungherese Ma fa vero scisma? Come certi divorziali che non sanno staccarsi dalla famiglia, molti vissero di fatto col partito to (con Calvino, Gaetano Trombatore, Giolitti, Sapegno...) sarebbe deluso clù vi cercasse lo spirito di «revanche» dell'ex. Cosa che invece non manca, talora anche in modo autoapologetico, nelle memorie eli Antonio Giolitti (Lettere a Marta, Il mulino), il quale parla della sua rottura con il Pei come di un «passaggio a Occidente», e non manca di ricordare che il direttore dell' Unità che titolava Scontri nelle vie di Budapest provocati da gruppi aimati di controrivoluzionari era Pietro Lngrao (che poi dedicherà un bell'intervento a L'indimenticabile 1956, ora nel voi. Masse e potere, Editori Riuniti). Di grande importanza i diari di un leader della sinistra non comunista come Pietro Nenni (Tempo di guerra fredda, Sugarco), il quale nel fatidico novembre esortava il presidente della Repubblica Gronchi «a non cedere di un millimetro all'arroganza della destra» e decideva di non restituire il Premio Stalin, per evitare la strumentalizzazione di destra, pur consacrandone i 14 milioni a scopi benefici. Il pubblico e il privato si mescolano nella testimonianza di un comunista militante, giornalista (e padre di giornalista), Renato Mieli, il quale al termine della sua «lunga traversata» del comunismo approderà a un dichiarato anticomunismo {Deserto rosso, Il mulino). Una preziosa testimonianza di un comunista critico che invece non mollò è quella di Paolo Spriano (Le passioni di un decennio, Garzanti), mentre per tornare alla storiografia recente paragrafi dedicati al '56 della sinistra si leggono nella Storia del dopoguerra di Paul Ginsborg (Einaudi) o nella Storia critica della Repubblica di Enzo Santarelli (Feltrinelli). Ma, partiti da Flores, chiudiamo citando un altro volume dello stesso (scritto con il compianto Nicola Gallerano, Il mulino): Sul Pei. Un'interpretazione storica, che costituisce per quel che riguarda il tema, la parte mancante di questo. Angelo d'Orsi