l'irriducibile ribelle di Pechino

l'irriducibile ribelle di Pechino l'irriducibile ribelle di Pechino 77 ragazzo che spaventa la Città Proibita I NEMICI DI DENG AVEVA vent'anni Wang Dan, nei giorni della Tiananmen, finiti nella strage televisiva della notte fra il 3 e il 4 giugno 1989, quel tank-show che inorridì il mondo. Con fermezza ma senza tracotanza, al contrario di altri suoi compagni, tenne testa al premier Li Peng nell'incontro trasmesso in tv poco prima della strage, con cui gli studenti posero al governo le loro condizioni e segnarono la loro condanna chiudendo ogni possibilità di dialogo. Tra quei ragazzi esaltati, Wang Dan, smilzo e ascetico, il ciuffo di capelli che gli cadeva sulle spesse lenti da miope, spiccava per rigore e vivacità intellettuale. Il suo ruolo nelle dimostrazioni non era casuale, non aveva scoperto all'improvviso la democrazia e i diritti dell'uomo. Nei mesi precedenti, studente di storia all'Università di Pechino, era stato l'organizzatore dei «saloni della democrazia», il cui animatore era Fang Lizhi, il «Sacharov cinese» appena espulso.dall'università: riunioni in cui si parlava -delitto allora e oggi - di diritti dell'uomo e di stato di diritto. Era uno dei leader 'di quella protesta, e in quei giorni più grandi di lui e dei milioni che lo seguivano cedeva a ingenue debolezze: era ansioso di sapere il risalto dato alla protesta da giornali e tv straniere; con giovanile vanità diceva delle lettere di ammiratrici che riceveva da tutta la Cina. C'era in lui sete di eroismo e di autosacrifi¬ cio, con ingenua esaltazione che il carcere e le sofferenze hanno fatto maturare in fermezza e lucida analisi verso il sistema autoritario. Tra i primi nella lista dei ricercati dopo la strage, è tra i pochi che non hanno cercato salvezza all'estero. Arrestato e condannato a 4 anni nel '91, è stato liberato nel febbraio '93, quando Pechino mostrava una certa liberalità per farsi assegnare i giochi olimpici. Passato il momento, nel dicembre scorso fu condannato Wei Jinseng, «decano» dei dissidenti, ad altri 14 anni, dopo che ne aveva già fatti 13. Il 22 maggio di quest'anno, per Wang, arresti domiciliari e il 3 ottobre il carcere, in vista del processo che non poteva non finire con severa condanna. Non per ciò che ha fatto: ma per le paure interne del sistema. Un regime basato su un partito con oltre 50 milioni di iscritti, sostenuto da un'armata di tre milioni di uomini, da una onnipotente polizia segreta e da una milizia popolare di milioni di uomini, ha paura di un ragazzo di 27 anni che nel breve periodo di libertà ha solo messo il dito sulla ferita: dicendo cioè che la Cina in pieno sviluppo economico ma con immense contraddizioni «è sull'orlo di un vulcano che potrebbe esplodere da un momento all'altro, il vento annuncia la tempesta». Altri suoi compagni di quella epica protesta dell'89, come Wuer Kaixi, clamorosamente oltraggioso nell'incontro televisivo col primo ministro, fuggiti in America si sono messi in affari, segretamente rimpiangendo le opportunità perdute in una Cina in cui oggi è obbligatorio arricchirsi. Wang, uscito dal carcere, non si era dato né agli affari né alla cospirazione. Aveva cercato invece di capire il suo Paese ammirandone l'espansione economica, ma vedendo anche l'allargarsi di profonde disuguaglianze. E aveva visto in questo gap la mina interna innescata dal regime stesso. Nella primavera del '94 scriveva sul «South China Morning Post», di Hong Kong: «Il pragmatismo ha rimpiazzato gli ideali, il culto del denaro si espande. E' una evoluzione normale. Ma dobbiamo anche riconoscere la necessità di stabilità per approfondire le riforme e facilitare la redistribuzione della ricchezza. Bisogna che le varie categorie sociali evitino conflitti socali maggiori». Un tranquillo riformista, non un sovversivo. L'accusa gli ha rinfacciato come crimini altre ovvie verità, citate dall'agenzia Nuova Cina: «Dobbiamo prepararci a un'azione a lungo termine in vista del dopo-Deng, perché esso comporterà gravi problemi». Parole di un sobrio analista, non di uno che vuol rovesciare il sistema. Il suo torto è aver detto ciò che tutti sanno: in primo luogo un regime che veramente si sente su un vulcano. Fernando Mozzetti

Persone citate: Fang Lizhi, Fernando Mozzetti, Sacharov, Wang Dan

Luoghi citati: America, Cina, Hong Kong, Pechino