Indagato il giudice dì Sofri

L'inchiesta affidata al procuratore di Brescia Salamoile L'inchiesta affidata al procuratore di Brescia Salamoile Indagato il giudice dì Soffi Un giurato: voleva la condanna MILANO. Atto dovuto. E a Brescia, da ieri mattina, anche Giangiacomo Della Torre, presidente di Corte dAssise d'Appello, 71 anni, un passato da Ispettore ministeriale, tre mesi appena alla pensione, si ritrova nel registro degli indagati. E' il presidente della Terza Sezione, quella che 1*11 novembre dello scorso anno ha condannato a 22 anni di carcere Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri al termine dell'ennesimo processo per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi. In aprile un esposto di Ezio Menzione, avvocato della difesa: i giudici popolari, almeno uno, avrebbero subito pressioni da parte del presidente della Corte. Articolo 323 del codice penale, abuso d'ufficio, e il pubblico ministero Fabio Salamone deve indagare. Sempre ieri, su «Il Corriere della Sera», uno dei sei giurati popolari sembra confermare l'ipotesi della difesa Sofri e dell'articolo 323. «Non so fino a che punto posso raccontare o no. Dirò di più ai magistrati, se mi chiameranno. Certo far parte di quella giuria fu davvero una sofferenza. Voglio dire che fin dall'inizio fu chiaro dove il presidente Della Torre voleva arrivare...». Alla condanna di Sofri. Però, giovedì scorso, intervistato da «La Repubblica», un altro giurato popolare aveva escluso: «Non mi risulta che il presidente avrebbe detto all'inizio del processo che voleva chiudere la sua carriera con una condanna». Per cominciare, atto dovuto, il presidente Della Torre finisce nel registro degli indagati. Per continuare, oggi, il giornalista del «Corriere» è atteso nell'ufficio del sostituto procuratore Salamone. Per concludere, alla fine della prossima settimana, sarà lo stesso Adriano Sofri a salire fino a Brescia. Poi, in Procura, avranno le idee più chiare. Anche perché l'inchiesta è tra le più difficili: per legge i giurati popolari non possono assolutamente parlare di quanto avviene in camera di consiglio, sono tenuti al più rigoroso segreto d'ufficio. E dunque il pubblico ministero Salamone neppure potrebbe formulare domande: sarebbe istigazione a commettere un reato. Il giurato popolare che accusa si chiama Michele. Piemontese. Già iscritto al Fronte della Gioventù. Da pochi anni a Milano. Simpatizzante leghista. Amico dell'ex deputato missino Tommaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, ora coordinatore della segreteria nazionale del Movimento Sociale Fiamma. «Lo conosco da tempo, anche se non benissimo - dice Staiti -. Un anno fa l'ho incontrato, anche a me ha raccontato la sua vicenda del processo Calabresi. Gli ho consigliato di andare da un magistrato, ma ha detto che non sapeva come fare. Poi, non so perché, mi ha chiesto di essere messo in contatto con il radicale Sergio D'Elia. Siccome lo conoscevo li ho messi in contatto, e per me è finita lì». Nell'intervista Michele descrive, più che una camera di consiglio, la Grande Congiura. «Io volevo capire, non ci dormivo la notte, stavo su a leggere migliaia e migliaia di pagine e ancora chiedevo di capire. Per esempio volevo leggere le sentenze precedenti, ma il presidente Della Torre sa cosa rispondeva? Che era inutile leggere tutta quella roba, che bastava leggere la sentenza del secondo processo d'appello...». Michele insiste, parla al plurale e non solo del processo Calabresi: «Chiedevamo: ma a cosa servono i giudici popolari se poi non ascoltate le nostre obiezioni? La risposta era: intanto condanniamoli. Tanto poi gli daremo la grazia...». Al Palazzo di Giustizia, cancelleria della terza sezione, l'unica risposta è nella burocrazia: «Come sempre, in questo caso prima dell'estate, avevamo consegnato ai giudici popolari mille e 500 pagine con tutte le sentenze precedenti». Risposta d'ufficio, che in parte sembrerebbe smentire Michele quando dice che non gli hanno fatto leggere le sentenze precedenti. Altro, alla Terza Sezione, non dicono. Luigi De Ruggero, giudice a latere nel processo, commenta con poche e definitive parole: «Tutti possono discutere una sentenza, tranne i giudici che l'hanno emessa». Ma l'inchiesta di Brescia e l'intervista a Michele ormai hanno scatenato il caso. Per il 22 gennaio prossimo la Cassazione dovrebbe emettere la sentenza definitiva. A quasi 25 anni dalla morte di Calabresi, a quasi 9 anni dalla confessione di Leonardo Marino e dall'arresto di Sofri. Odoardo Ascari, che nel processo rappresenta la famiglia Calabresi, vede strane manovre all'orizzonte. Già la scorsa settimana, l'altro giurato popolare aveva smentito nella prima intervista anonima: «Qualcuno sostiene che quattro giurati erano per l'assoluzione e quattro per la condanna? Nemmeno per sogno, c'è stata l'unanimità». E Ascari va giù pesante: «Siamo di fronte al male in senso biblico. Un'alleanza della violenza con la frode di cui la prima vittima fu Calabresi. E' una manovra ignobile che punta ad influire sulla Cassazione». [r. m.] «Intanto giudichiamoli tutti colpevoli poi gli daranno la grazia» Il legale dei Calabresi «Vedo strane manovre» Salamoile ì Soffi danna moli voli zia»

Luoghi citati: Brescia, Milano, Staiti