Il mio vicino di stanza, Mobutu

Il mio vicino di staniti, Mobutu SEGUE DALLA PRIMA Il mio vicino di staniti, Mobutu Nell'hotel di Losanna dove il leader si spegne SLOSANNA E ci riuscite, abbiate pietà per Mobutu e per il suo tramonto sul Lago Lemano, per il generale definitivamente perduto nel suo labirinto di tappeti e specchi, marmi rosati e pianoforti onnisonanti, ricordi e inganni, ultimi desideri e vecchi appetiti, morfina e champagne, tutto tramite room service del Beau-Rivage: destinazione quarto piano, ala Est. E' qui che bisogna salire per arrivare alla soglia dell'agonia di Mobutu. Ed è qui che si viene fermati. Il piano è interamente riservato alla delegazione zairese. A fianco dell'ascensore hanno piazzato un tavolo dove siede una guardia del corpo. Un tipo simpatico e robusto, con la camicia azzurra, cravatta regimental, pantaloni neri, piedoni scalzi. Uno con la fondina piena sotto l'ascella e una trasmittente posata sul tavolo, accanto al radiolone dove inserisce i compact disc di musica afro per coprire la mestizia del pianoforte e attraversare con ritmo la sua notte di veglia al capezzale dell'imperatore, di cui dice soltanto: «Sì, lui è là». E indica la porta.chiusa di una suite dove hanno dormito anche Juan Carlos di Spagna e Hussein di Giordania, davanti alla quale è parcheggiato un carrello stracarico di piatti semipieni e bottiglie assolutamente vuote. Room service: caviar osciètre, loup de mer e Pommery brut rosé. L'imperatore assaggia i solidi e dà fondo ai liquidi. Come ai bei tempi di Gbadolite, la sua Versailles d'Africa, la reggia dove riceveva i suoi invitati, facendoli accogliere all'aeroporto privato dalla direttrice belga, trasportandoli davanti a tavole imbandite, ognuna con al centro una boccia di Veuve Cliqot rosé, stordendoli con pavimenti e colonne di marmo luccicante dietro le quali il suo cerimoniere tracannava anfore di cognac, introducendoli al night nella giungla, subito avviluppati da danzatrici vatusse disponibili a ogni ballo, concedendo loro barlumi della sua presenza e subito ritirandosi in altre, inaccessibili stanze, con le sue amanti e le sue bottiglie che gli regalavano momenti di oblìo e i prodromi del cancro alla prostata, conseguenza condivisa con molti ubriaconi e puttanieri di Kinshasa, benché dediti a sottomarche. Da ogni finestra che il suo sguardo ha attraversato, Mobutu ha guardato le luci sull'acqua, fossero quelle dei grandi laghi in riva ai quali aveva i suoi palazzi o quelle del fiume dove era ancorato il suo panfilo Kamanyola. Ora guarda le luci di Losanna riflesse nel Lemano, seduto nelle poltrone di un hotel specializzato in «grandi firme e grandi tramonti». Quando fu inaugurato, il 24 marzo 1861, il primo nome nella lista degli ospiti fu quello della principessa di Hoenlohe, presto seguita da Coco Chanel e Jean Jardin. Verniero nelle sue stanze a scrivere Noel Coward, Paul Bowles e Somerset Maugham. Albert Cohen vi concepì, nel 1926, «Bella del Signore». George Simenon vi trascorse giorni terminali, quando aveva ormai smesso di scrivere, ma non di molestare cameriere. Nel libro d'oro degli ospiti ci sono Gary Cooper e Sacha Guitry, i duchi di Windsor e Richard Nixon. Nelle sue sale si sono conclusi trattati di pace: nel 1912 quello italo-turco, nel 1923 quello tra Italia, Francia e Inghilterra da un lato e Turchia dall'altro, con Mussolini venuto a concordare a pianterreno la strategia con Poincaré e Lord Curzon. Poi è toccato ai signori del Medio Oriente, che, dicono dalle loro parti, «si fanno la guerra, poi vanno a mangiare caviale iraniano insieme al Beau-Rivage». Su, al ristorante Rotonde, tra scheletri di ricche americane e polpe di nuovi ricchi dell'Est europeo. Quattro piani sotto l'imperatore nero che guarda le luci sull'acqua. Vista condivisa con la moglie, i cognati, i due medici, il capo del protocollo, i tre autisti e le guardie personali (i Leopardi Rossi) che occupano le altre stanze del quarto piano, ala Est, tutte con le finestre di fronte al lago. Dispone di una cameriera fissa e di un impie¬ gato dell'hotel per le commissioni, sempre gli stessi affinché la sua riservatezza sia intaccata da un numero minimo di persone. Ha ricevuto qualche delegazione africana, ma nessuna ancora dall'Onu, che pure si preoccupa, dice, di quel che accade nel suo lontano Paese. Esce dalla stanza di rado. E' al Beau-Rivage da 78 notti, ma il personale, a parte le uscite superprotette del mattino, ricorda soltanto una apparizione al bar Anglais, una sera verso l'imbrunire: lui che si faceva ordinare un Alexandre, camminava lento verso la biblioteca, gli occhi alle vetrate sul lago, sfiorava con un dito i dorsi dei libri (c'è una «Vita di grandi uomini» di De Lamartine in più volumi, ma parte da Omero e si ferma a Nelson, quindi non poteva interessarlo), posava il bicchiere vuoto sul pianoforte a coda e scivolava via, verso l'ascensore, al quarto piano, nella suite, ad aspettare il room service e la notte, ascoltando alla tivù echi di una guerra lontana che potrebbe non riguardarlo più o essere il suo ultimo inganno, come sostiene Kasongo Ngoy, zairese, professore alla facoltà di Scienze Politiche dell'università di Losanna, secon¬ do il quale «quel che accade nello Zaire è una machiavellica trovata del regimo di Mobutu per provocare l'intervento di potenze straniere amiche». Protesta il rappresentante dei profughi zairesi, Mùbengay Baì'wa: «E' una vergogna che la Svizzera lo accolga con la scusa dei motivi umanitari». Protesta il consigliere di Stato addetto alla Polizia e alla Giustizia del Cantone, il post-comunista Josef (in onore di Stalin) Zisyadis: «E' un'indegnità». Per il dipartimento Affari esteri è tutto regolare e Mobutu ha avuto la quarta proroga del visto. Per il direttore del BeauRivage, Christian Marich, è un ospite come gli altri, solo paga conti più alti e da mance più grosse. Mobutu, dalla suite, non si sposta. Avrebbe una grande villa a pochi chilometri da qui, a Savigny, ma gli mette tristezza perché proprio lì, nel 1978, morì sua moglie Marie Antoniette. E la tristezza non vuole metterla in valigia, adesso che prepara il suo ultùno viaggio. Tempo sei mesi e se ne andrà, se la prognosi è sincera. Nell'attesa, riacquista energie. Pochi giorni fa l'hanno visto, con tutto il seguito, occupare i vagoni del «trenino dei ghiacciai», in partenza da Montreux, per una gita. In una foto scattata venerdì 18 ottobre dai reporter del settimanale «L'Illustre» usciva dall'hotel sorretto da due donne. Ieri mattina camminava senza appoggi. Al rientro, faceva salire il carrello della prima colazione, poco appetibile dopo una chemioterapia. Ecco, l'imperatore che andava a morire è tornato e ha chiuso la porta sul suo mistero. Potete averne pietà o diffidarne. E' la sua ultima scommessa, contro il suo popolo e contro la storia. Contro la possibilità dell'esistenza di un Dio che, più rigoroso di un direttore di grande albergo, prepara il conto. Gabriele Romagnoli 5PIA<#N)TI Al 3Zh)-M\òk&e PI LOSAfOMA (OON) ADIAMO Puf CON) VJ6TA B>01 LAeo! tuaiMÉSAack ataa sbassassi tanze, con ottiglie che i di oblìo e lla prostaivisa con tanieri di ti a sottohe il suo o, Mobutu acqua, fosghi in riva t l Un bambino piange: ha perso la madre nella fuga verso il Ruanda. A sinistra, Mobutu con le sue guardie esce dall'ospedale di Losanna. La vignetta è stata pubblicata dal quotidiano Le Matin di Losanna