Ma gli imprenditori pugliesi giurano: è tutto un equivoco, vogliamo bene all'Albania Tirana sciopero contro il maschio italiano di Gad Lerner

Ma gli imprenditori pugliesi giurano: è tutto un equivoco, vogliamo bene all'Albania Ma gli imprenditori pugliesi giurano: è tutto un equivoco, vogliamo bene all'Albania Tirana, sciopero contro il maschio italiano LA tanto citata globalizzazione dell'economia è quel fenomeno contemporaneo per cui il pesto genovese può venir prodotto in Veneto da Giovanni Rana utilizzando basilico appositamente coltivato in Argentina. Ma come dimostra in questi giorni la disavventura albanese della Cofra di Barletta, azienda leader nel distretto pugliese della scarpa sportiva, la globalizzazione non comporta solo importexport di investimenti, semilavorati, manodopera, prodotti: c'è anche un incontro-scontro di culture che richiede molta cautela. Tutto è cominciato quando il principale quotidiano albane- se, Koha Jone, ha dato notizia dell'inchiesta pubblicata dalla Stampa sui pionieri dell'Est, nella quale venivano descritti gli insediamenti industriali degli italiani a Tirana. Condizioni ambientali difficilissime ma in compenso costo del lavoro assai vantaggioso, sicché delocalizzare oltremare alcune produzioni si rivela essere l'unica possibilità per sopravvivere alla concorrenza dell'Estremo Oriente. Naturalmente la missione di imprenditori e tecnici - decine di maschi italiani soli in un Paese povero e disperato dopo decenni di regime comunista autarchico, è costellata di giudizi stupefatti, battute virili, curiosità e diffidenze probabilmente identiche a quelle degli americani sbarcati nel dopoguerra al cospetto delle donne napoletane: fatto sta che la lettura della Stampa ha provocato in Albania reazioni di sdegno tali da rendere l'atmosfera non proprio idilliaca per la comunità italiana residente. Alla Albaco shoes, 650 operaie, la fabbrica di tomaie che rifornisce la Cofra di Barletta, lunedì e martedì scorso la tensione è sfociata in due giorni di sciopero con blocco della produzione e animatissime discussioni col personale italiano che nel frattempo ha chiesto di essere sostituito. L'agitazione è stata sospesa solo grazie alla promessa di chiarimenti da parte di Giuseppe Coltellino, il costernato titolare della Cofra, che assicura: «E' tutto un equivoco, non ci permetteremmo mai di discutere usi e costumi dell'ospitale popolo albanese e delle sue donne che ci forniscono un lavoro prezioso. Come potrei disprezzare un Paese che somiglia tanto alla Puglia del dopoguerra in cui mio padre ha mosso i suoi primi passi imprenditoriali, fabbricando scarpe con i copertoni dei camion militari?». Telefonate d'insulti, minacce per la strada al punto da rendere necessario il raddoppio della sorveglianza. Ma cosa può essere accaduto? «Non voglio pensare che si spezzi quel clima d'amicizia per cui i miei tecnici venivano invitati a matrimoni e battesimi, per cui un autista si è sposato con una ragazza albanese», prosegue Cortellino. «Per favore, ripristiniamo un clima di reciproca fiducia. Noi investiamo convinti dell'evoluzione positiva della situazione albanese. Loro accolgano gli italiani come gente che vuole solo dare e ricevere lavoro, rispettando chi è più povero di loro ma dimostra una gran voglia di migliorare». La strategia della delocalizzazione industriale non potrà speriamo - essere frenata né da un articolo di giornale né da qualche battuta maschilista. Ma la lezione che viene da Tirana è molto istruttiva: non si vive di solo pane neanche là dove di pane ce n'è poco. Gad Lerner

Persone citate: Giovanni Rana, Giuseppe Coltellino