Parla l'attrice in scena questa sera a Torino nella «Rosa tatuata» Moriconi: l'attore è un panda

Parla l'attrice in scena questa sera a Torino nella «Rosa tatuata» Parla l'attrice in scena questa sera a Torino nella «Rosa tatuata» Moritemi: l'attore è un panda «Vendiamo idee, ma chi ci protegge?» TORINO. Che mestiere impossibile è quello dell'attore, dice Valeria Monconi: deve fare i conti con un pubblico diverso da quello di quindici anni fa e così rovinato dai decibel della tv da non sentire più bene. Aggiunge: oggi l'attore deve far esplodere il diaframma di cartone che lo separa dalla platea. Come? «Con l'emozione». La Moriconi inaugura questa sera all'Alfieri la stagione del Teatro Stabile con «La rosa tatuata» di Tennessee Williams, un testo mai tradotto in Italia e mai rappresentato, forse perché gravato da un 'ipoteca cinematografica pesantissima. Chi se la sentiva di fare i conti con Anna Magnani e con Burt Lancaster? Ma l'attrice ci prova. Da anni Williams le fa da diavolo tentatore. «La dolce ala della giovinezza», «La gatta sul tetto che scotta», «Un tram chiamato desiderio» non erano soltanto titoli: erano orizzonti poetici, inferni seducenti. Forse avrebbe continuato a girare a vuoto intorno al suo feticcio, se un giorno un critico del «Los Angels Times» non l'avesse esortata a prendere in considerazione «La primavera romana della signora Stone», ennesimo copione portato al successo dal cinema. «Sembra un segno del destino che il mio primo Williams dovesse passare per il cinema». Ricorda che, dopo il suggerimento, è andata a guardarsi tutto ciò che riguardasse il drammaturgo, ma tornava sempre alla «Rosa ta¬ tuata», come in un cerchio, come in mia predestinazione. La Moriconi chiama il regista Gabriele Vacis e, nella parte del camionista che fu di Burt Lancaster, scrittura Massimo Venturiello. Dice: «Una volta ero approdata ai canoni del giovane Massimo Castri, oggi lavoro con il giovane Vacis. Mi piace ogni tanto lanciare un sasso nella palude, gli attori hanno bisogno di questi scrolloni». E' un gesto coraggioso e un segno di libertà scegliere di lavorare «lanciando sassi». Un tempo la libertà di Valeria Moriconi consisteva nello scegliere un copione o mi regista. Da quando dirige il Pergolesi di Jesi, unico stabile privato delle Marche, la libertà coincide con la responsabilità. Dice: «Vorrei fare mi teatro d'elite e insieme popolare». Capisce che raggiungere lo scopo significherebbe arrivare alla quadratura del cerchio. E tuttavia non sembra un sogno proibito, anzi è la sua sfida, poiché «il pubblico vuole emozioni forti, e il teatro gliene dà sempre meno». Con l'emozione, spiega, «ci si può salvare dalla genericità nella quale stiamo affondando». Ma la strada è dura. «Sono condizionata dal punto di vista finanziario e dall'incontro-scontro con i politici che poco sanno del teatro. Com'è difficile ottenere l'appoggio degli enti locali. Quanti campanilismi nelle Marche, quante invidie». Il quadro non sembra felice. «L'anno prossimo festeggio i quarant'anni di teatro. Devo dire che in quarant'anni le cose sono peggiorate». Non solo perché «il fetore politico è arrivato dappertutto», ma soprattutto perché «sono state vane le lotte di Enriquez, di Trionfo, di Grassi per avere una legge sul teatro. Gli intoccabili sono andati avanti. La magagne sono andate avanti». E se, come sembra, si arriverà finalmente a questa desideratissima legge, la Moriconi non gioisce più di tanto. «Ho il terrore che si faccia qualcosa di nuovo senza conoscere bene la situazione». Il suo malumore è a largo raggio. «Mi offendono le sovvenzioni a pioggia, mi offendono le pagine dei giornali piene dei casi amorosi di una telediva. Non parlo così perché ho più di 60 anni. Ho sempre pensato che il teatro è un ambiente delicato, dove noi attori vendiamo idee. E proprio per questo penso che chi sta in palcoscenico debba essere guardato e protetto». Come un panda? «Come un panda. Per il modo in cui intendo questo mestiere, sì». Aggiunge che la lòtta è solitaria: «Quest'estate ho recitato "Medea" a Siracusa, davanti a 5000 persone. E' stato entusiasmante. Alla fine di ogni recita tutti balzavano in piedi e scandivano: Mede-a Me-de-a, come a un concerto rock. Ma quell'urlo emozionato, emozionante e liberatorio è caduto nel deserto dei mass media. Che civiltà starno creando?». Osvaldo Guerrieri Apre la stagione dello Stabile con uno spettacolo di giovani: «Lancio sassi nello stagno» Valeria Moriconi: l'anno prossimo festeggerà 40 anni di teatro

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