la guerra dei burattinai Francia contro Usa in Africa di Domenico Quirico

Malta dice no all'Europa la guerra dei burattinai Francia contro Usa in Africa I NUOVI IMPERI L A guerra d'Africa è stata dichiarata venti giorni fa. Il guanto di sfida lo ha lanciato il segretario di Stato americano per il continente nero, George Moose, nascondendolo subdolamente dietro una innocua proposta umanitaria, creare cioè «una forza militare interafricana» per fronteggiare le innumerevoli crisi. Una armata di diecimila, dodicimila uomini, garantita contro qualsiasi sospetto neocoloniale perché formata con corpi di élite di Paesi del Continente, ma equipaggiati, riforniti e trasportati in giro per i blitz dagli americani. Washington è pronta a pagare subito la metà dei quaranta milioni di dollari necessari per l'allestimento. Sul comando Mocse ha mantenuto un rigido «no comment», ma il fatto che i Paesi contattati per l'arruolamento, dallo Zimbabwe al Kenya all'Uganda siano tut- ti anglofoni, ha reso credibile il sospetto che, oltre ai dollari, gli americani vogliano fornire anche un generale. La risposta al cartello di sfida è arrivata a stretto giro di posta. Jacques Godfrain, ministro francese della Cooperazione, ha commentato con una stilettata maligna: «Devo constatare che l'Africa è diventata una priorità del governo americano solo qualche settimana prima delle elezioni presidenziali». E ha ricordato con diabolica arguzia che Clinton non è mai stato in Africa, che non ha citato questo continente nel discorso all'Assemblea generale dell'Onu. E che ha anche ridotto del quindici per cento l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo. La sensibilità di Parigi è comprensibile: per la prima volta il monopolio sul suo «impero» francofono nel Continente è messo in discussione. E proprio dagli Stati Uniti che sembravano, dopo il ritiro dell'Unione Sovietica dalle savane africane, placidamente indifferenti alle costose turbolenze di questo continente. I due contendenti si sono già scambiati i primi colpi in Sudan. Parigi appoggia i fondamentalisti del regime di Khartum (e ha ricevuto in regalo il terrorista Carlos e un pacchetto di succose prospezioni petrolifere). Washington, attraverso il suo «agente», l'ambizioso leader ugan- dese Museveni, sostiene la rivolta dei cristiani del Sud. Ma la vera «battaglia» si è scatenata tra le mille colline e i laghi dell'Africa Centrale. La Francia ha adottato il Ruanda, fino ad allora affidato alla disattenta gestione dei cugini belgi, nel 1990. Il regime degli hutu era in difficoltà di fronte all'offensiva dell'armata di liberazione tutsi, equipaggiata e protetta nei suoi santuari in Uganda proprio da Museveni. La politica africana è, per tradizione, un dominio esclusivo dell'Eliseo, e Mitterrand la interpretava con stile imperiale attraverso un proconsole, il figlio Jean-Christophe. Quando il presidente ruandese Hanyarimana chiese aiuto, Parigi rispose positivamente, con il benestare dell'altro agente francofono nella regione, l'inossidabile dittatore zairese Mobutu, simbolo di tutte le sciagure del Continente. Il nemico, i ribelli tutsi, aveva un identikit altamente sospetto per Parigi: parlava inglese e non la lingua di Voltaire (che per i francesi è già una colpa capitale), puzzava di terzomondismo; e il suo capo Paul Kagame, particolare inquietante, aveva studiato strategia in un'Accademia militare americana. Per difendere lo scalcinato e sanguinante fortino francofono di Rigali (dove in realtà il francese lo parla a malapena il dieci per cento della popolazione) c'erano altre ragioni: il Ruanda è una splendida base da cui controllare l'Africa Australe, soprattutto il forziere dello Shaba in Zaire, dove la Cogema francese fa affari d'oro, mettendo un'ipoteca sul tumultuoso dopo-Mobutu. E poi il Ruanda è un ridotto cristiano assediato da un Islam straripante che scende pericolosamente sempre più a Sud. Così gli specialisti francesi hanno puntellato fino all'ultimo le scalcagnate truppe hutu, sotto la bandiera della necessità di «impedire un bagno di sangue». Un vero peccato che non si siano accorti del milione di morti, accoppati dai loro alleati, che ingombravano i fiumi del Ruanda. E hanno poi inventato un'operazione umanitaria per mettere in salvo (e tenere in ostaggio), presso il fedele alleato Mobutu, i responsabili de) massacro. Adesso la battaglia si è spostata nello Zaire. Gli «anglofoni» tutsi sono all'attacco, il trono del fedelissimo Mobutu vacilla. Agli scorbutici sudditi del despota non importa nulla che parli uno splendido francese. Domenico Quirico Parigi appoggia gli hutu e lo Zaire francofoni contro i tutsi e l'Uganda Profughi hutu nello Zaire; nella foto grande europei in fuga da Bukavu

Persone citate: Clinton, George Moose, Jacques Godfrain, Mitterrand, Museveni, Paul Kagame, Rigali