Orientalista più bravo dei francesi

A Pasini a Parma Orientalista più bravo dei francesi PARMA L CENTRO della mostra a lui dedicata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Parma (protratta fino A Autoritratto, 1888 al 31 dicembre, a Palazzo BossiBocchi), il sessantenne Alberto Pasini, ne\YAutoritratto del 1888 degli Uffizi, improntato a un lucido verismo pittorico, vicino a un D'Ancona o a un Cecioni, in giacca e panciotto di tela color crema nelle cui pieghe e bottoni serpeggia la catena d'oro, ci contempla con la stazza dignitosa di un pittore della borghesia delle magnifiche sorti e progressive. Già da quasi vent'anni è fuggito dalla Parigi dell'assedio prussiano e della Comune nella quiete di Cavoretto, da dove ha inondato con una sontuosa gastronomia pittorica di mercati turchi e di carovane nel deserto un secolo di eletto collezionismo piemontese. Per quest'ultimo Pasini, la ricchezza quasi astratta di lume e colore meridiano di una strada di Cavoretto con i suoi portoncini, i negozietti, la cascata d'edera sul balconcino oppure di un portale persiano, a parte il «colore» del cavallo e dei personaggi con enormi coDoacchi e l'amatissimo splendore delle ceramiche azzurre, non presenta sensibili differenze: stessa pittura pura, goduta. Parlavo dell'orgoglio collezionistico torinese: due vertici in mostra di questa superba cucina del godimento borghese, con il medesimo giardino dell'harem e la medesima favorita del sultano avvolta in seta dorata in un quadro e color carminio nell'altro - un anticipo su Grosso - provengono dalla galleria Narciso e da Fogliato. Ma di ben altra, magica qualità è la scoperta diretta dell'Oriente da parte del trentenne di Busseto, litografo a Parma (la sua serie romantica dei castelli dell'Appennino è singolarmente affine e forse derivata da quella piemontese di Gonin), litografo e paesista «barbizonnier» a Parigi, che prende il posto del protettore Chasseriau già ammalato nella spedizione del plenipotenziario di Napoleone III a Teheran nel 1855-56. Di fronte agli spazi dei deserti persiani, infiniti o delimitati in controluce da mammelloni rocciosi, punteggiati da qualche resto classico, sotto cieli oltremarini o incendiati al tramonto, nasce ! «orientalista» italiano che gli stessi francesi del tempo pongono al livello dei Decamps, dei Fromentin, dei Marilhat, dei Dauzats, nell'unico «genere» che è proprio del XIX secolo. E nasce come disegnatore e litografo di straordinaria lucidità. I disegni del viaggio persiano del Gabinetto degli Uffizi hanno una luminosa nettezza di segno degna del Corot romano o dei lucidissimi tedeschi e scandinavi presenti a Roma negli anni di Corot. Ciò spiega, nei dipinti al ritomo a Parigi direttamente derivati dai disegni ed esposti, il Caffè nelle pianure del Sud di collezione torinese e la Ronda notturna a Ispahan di collezione milanese, l'affinità formale con l'asciuttezza cromoluministica delle prime tavolette macchialo le di un Banti o di un Semesi. Non è per nulla casuale che Banti possedesse quadri di Pasini e che Pasini, grazie alle fortune parigine con il primo dei grandi mercanti, Goupil, collezionasse Fattori, Lega, Semesi, Cecioni, De Nittis. Questo equilibrio fra l'oggettività dell'immagine attraverso la nettezza della struttura disegnativa e i «valori» di luce e colore è peculiare del pittore fra gli Anni 50 e 60: nessun «orientalista» francese mi sembra abbia raggiunto l'altezza e la magia d'immagme della grande Sosta di una carovana esposta al Salon del 1860 e passata dalla proprietà di Angelo Sommaruga a quella di Ulrico Hoepli. In seguito, la fortuna parigma non tanto corrompe quanto incita l'«orientalista» alla gara: è palmare e didascalico, nel Cavaliere che parte per la caccia, del 1865, il riecheggiamento, fra Meissonier e Fromentin, del pieno romanticismo di Chasseriau in Ali ben Hamet, califfato di Costantino,, seguito dalla sua scorta.esattamente vent'anni dopo. Marco Rosei

Luoghi citati: Autoritratto, Busseto, Parigi, Parma, Roma, Teheran