Gli odori forti di De Pisis
Passioni e paure del grande maestro nella mostra ferrarese Passioni e paure del grande maestro nella mostra ferrarese Gli odori forti di De Pisis «Voglio essere una finestra ambulante» JFERRARA L problema dello sfondo, di stabilire che cosa mai sia pittura, nei confronti dell'ispirazione poetica. In questo senso De Pisis rimane nel profondo un poeta che cerca il tessuto ideale per materializzare le sue fantasie liriche, e non lo si dice in senso limitativo. Lui stesso, vecchio, malato, come intimidito dalla sua stessa provocatoria verità, osa domandarsi: «Posso dire che in queste mie opere recenti mi sono prefisso di valorizzare l'elemento lirico della mia pittura?». Dimenticare la materia, quasi, la sostanza dei colori, per trasmettere emozioni: una stenografia sbrigativa e mentale, bruciata dall'ansia della comunicazione pressoché medianica, febbricitante. E proprio di «presto» in senso musicale e fisiologico parlava persuasivamente Arcangeli; forse pensando anche al «far presto» di pittori come Luca Giordano (così era soprannominato), di Strozzi o Magnasco: e De Pisis sulla spalla, docile trespolo, non tralasciava mai di trasportarsi l'adorato Cocò, che berciava compulsivo: «Spicciati! Spicciati!». «Alcune mie tele non sono che una specie di canovaccio delle mie poesie». Appunti grafici, annotazioni irrequiete e scarne, tipologia esasperata di sensazioni, che devono suggerire, «istigare» quasi più che non pedissequamente raccontare, descrivere. «Malinconie fatali in questo periodo di lotte e di incontentabilità, spesso una specie di commento musicale alle forme». E di questo, in fondo, ci si rende conto aggirandosi nella ben concertata antologica che Andrea Buzzoni ha voluto dedicargli a Palazzo Massari nel centenario di questo infelice, paradossale cantore della felicità inafferrabile dell'esistenza. Antologica arricchita anche dalla nobile donazione di Franca Malabotta, che ha voluto lasciare alla città alcune fra le più belle tele, già dello scrittore Comisso. Mentre dalla stessa colle- zione è nata l'interessante mostra di opere grafiche, curata da Luca M. Barbero, alla chiesa di San Giacomo a Vicenza. Per l'artista, il vero soggetto del suo dipingere, è trovare la superfi- eie ideale, lo spazio ove evocare le proprie visioni, la pagina non più bianca, ma peccaminosa, del poetare per aria. E proprio le «arie», per dirla con Salvator Rosa, dipinge (magari simulando l'aerea le¬ vità degli scenografici sfondi settecenteschi di Tiepolo o quelli tempestosi di Guardi): evoca i momenti felici e gli irripetibili istanti di un eros panico e sconfinato. Ma deve trovare, comunque, un letto, un baldacchino, una complice copertina tigrata, ove stendere le sue visioni, oltre ai suoi maliziosi nudini. E spesso si tratta delle metafisiche marine risolte in un sipario-ditata di blu di Prussia, sulla cui cortina di «sabbia vellutata» si dispongono come versi distillati le sensuali granceole formicolanti o le capesante giganti, voluminose come palazzi nobiliari. Ma guardiamo quel dechirichiano teatro de Les oignons de Socrate: la scena marina con sculture, in fondo, è la stessa, ma De Pisis ha bisogno degli odori forti, della cipolla che esalti i marmi come una brezza d'eccitazione, ha necessità della vita che entri dentro le sue tele, «scombussolandole». «Voglio/ essere una finestra che cammina/ aperta, col suo lembo/ di azzurro che la colma», scrive: e intanto dipinge quella bellissima Poltrona che sogna, nel vano d'una finestra squadernata sulla notte, risposta italiana e melanconica alle certezze mediterranee di Matisse. Perché a poco a poco si spegne quella sua sovraeccitazione, bruciata «se amor lo tocca/ con le sue dita nude». Lentamente i suoi amati oggetti, protagonisti di quelle «camere melodrammatiche» mai rimosse, albatri incagliati sul mare del tavolo, salpano verso un definitivo naufragio, attraccati per un attimo all'amo spaesato dell'angoscia da congedo. Il Mercurio che s'era autoritratto frenetico al cavalletto smette ìe sue alette mitologiche e indossa le pantofole, «calzatura inadatta alle strade del mondo». Un cimitero di calamai inutili visita le sue ultime tele, forse un pensiero ai versi mai scritti, montaiìanamente. «Spesso mi è venuto da dire che non amo che i quadri che non ho dipinto». Marco Vallora « Natura morta con pianella», olio su tela realizzato da De Pisis nel 1950. E" fra le opere esposte a Palazzo Massari, a Ferrara, nel centenario della nascita dell'artista >e Pisis: «Paravento» r I, olio su metallo, custodito alla milanese Fondazione Mazzotta
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