C A P A L' obiettivo della storia

Al C A Al L'obiettivo della storia Da Berlino alla Turchia: un libro ricostruisce la vita per immagini del grande fotografo Il 1 IMMAGINE più chiara e / cordiale di questo grande bellissimo e terribile album Robert Capa Pho I tographs, Aperture Foundation, New York, 1996, con prefazione di Henri Cartier-Bresson, ricordi di Cornell Capa e introduzione di Richard Whelan, paradossalmente non è un'immagine di Robert Capa. La fotografia l'ha scattata Ruth Orkin a Parigi nel 1952. Ritrae un'affascinante faccia maschile fermata tra pensiero e sorriso. Un accenno di sorriso malizioso che dalla piega delle labbra sta conquistando il resto dei lineamenti sino a congiungersi agli occhi che paiono già accendersi. La faccia dell'uomo che la sa lunga, sa tutto del passato e crede di sapere molto del futuro. La faccia di chi non si spaventa facilmente, ma neppure crede del tutto in quel che vede, proprio perché in grado di cercare quanto sta sotto la superficie, anzi la superficialità della vita apparente. con la profuga tedesca Gerda Taro, sempre piena di fantasia e di energia, gli era stato di grande aiuto. Si erano messi insieme, e lei gli aveva addirittura trovato un nuovo nome. Non più il profugo Friedman ma Robert Capa irresistibile e talentato fotografo americano. Il trucco era stato scoperto presto ma lui era veramente bravo e si era conquistato il diritto di tenersi definitivamente il nuovo nome. Aveva fotografato la lotta di classe a Parigi. L'aveva fissata in immagini che sono ancora chiarissime e fosche insieme. Ormai appariva impossibile bloccare la marcia verso il disastro. Nel 1936, era stata la volta della Spagna. Dall'Africa un'alleanza tra monarchici e fascisti agli ordini di Francisco Franco aveva portato l'attacco al governo spagnolo regolarmente eletto. E Robert Capa era andato a fotografare la guerra civile spagnola. E in Spagna avevano preso a convergere e a scontrarsi altri popoli: dai russi sostenitori governativi agli italiani e i tedeschi sostenitori dei franchisti, e tant'altra gente ribelle prò e contro anarchici e avventurieri, spie e profeti. Non più le manifestazioni del Fronte Popolare e della destra sciovinista francese, non più maledizioni e minacce ma il sangue vero, le distruzioni vere, la verità oscena della guerra. La violenza non riconosceva, disconosceva i confini proposti da chi aveva confidato di salvare i propri privilegi. Robert Capa non riusciva più a prevenire le cose, doveva rincorrerle, incalzarle. Madrid crocifissa era uno scandalo. Ma era uno scandalo anche la massiccia penetrazione dei giapponesi in Manciuria e nel 1938 Robert Capa aveva dovuto far rotta sulla Cina. L'Asia dopo l'Europa, la differenza tra giapponesi e cinesi. La Cina scelta rispetto al Giappone, ma con la coscienza di potere sbagliare applicando i concetti europei di fascismo e democrazia. Il rischio di frain- Combatteva per gli altri Allora Robert Capa viveva a Parigi ed era presidente dell'Agenzia Magnum a cui dedicava non poco tempo, occupandosi dell'arruolamento e della formazione dei giovani fotografi, insomma era al culmine della sua straordinaria carriera. «Pareva indossare il luminoso costume di un grande torero», afferma nella succinta prefazione 0 pure grande fotografo ed amico Henri Cartier-Bresson, «ma non uccideva nessuno, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri nella tempesta. La fatalità ha voluto che fosse abbattuto al pieno della sua gloria». Era venuto al mondo come Endre Friedman il 22 ottobre 1913 a Budapest. Nel 1931 ancora studente aveva dovuto abbandonare l'Ungheria per motivi politici. A far fotografie aveva cominciato a Berlino, e andava bene. Ma non andava bene il resto. E il resto non dipendeva da lui. I tempi erano minacciosi e, dopo la salita al potere di Hitler, il giovane Friedman era stato obbligato a un nuovo trasferimento a Parigi. Agli inizi aveva tirato avanti solo per la solidarietà della comunità dei profughi di Montparnasse. L'incontro tendere convinzioni e situazioni altrui, e la speranza mai perduta di risolverle con la complicità di una macchina fotografica. Rubare una luce, un sentimento, un trasalimento, un brivido da estrarre dalla confusione generale e da covare, fare sbocciare contro l'oscurità degli eventi. L'album in un bianco e nero, l'ho già detto, lo ripeto è di tendenza cupa. Ma come si poteva illudersi in un'inversione di tendenza, quando, appena conclusa con la vittoria falangista la guerra civile spagnola, nel 1939 Francia e Inghilterra erano costrette ad entrare in guerra contro la Germania nazista che aveva invaso la Polonia? Nel 1940 Robert Capa aveva avuto ancora il tempo per firmare un grande servizio sulle elezioni presidenziali in Messico, e poi nel 1941 si era imbarcato su un convoglio che portava i soccorsi americani all'Inghilterra. Aveva documentato il ritorno alla vecchia madre dei figli degli emigrati del nuovo mondo. E poi guerra, guerra. Tra tante fotografie di guerra spiccano quelle, scattate nel 1943, al seguito degli alleati, già vittoriosi in Africa, e impegnati nello sbarco in Sicilia e successivamente nel resto d'Italia. Il miglior cinema italiano, quello di Roberto Rossellini, e di Luchino Visconti, il neorealismo più suggestivo pare derivare dalle fotografie di Robert Capa a Troina, in Sicilia, o al Vomero di Napoli o a Venafro sulla rotta di Cassino. E' un paragone, un confronto che si impone, e a cui è difficile sfuggire. Il punto di Ha il dono di far risaltare la resistenza dell'uomo attraverso le dure prove di questo secolo vista si direbbe lo stesso, la differenza sta nel fatto che Robert Capa fotografa una realtà e Roberto Rossellini e Luchino Visconti la ricostruiscono. Nel 1944 Robert Capa si era diviso tra il fronte di Anzio in Italia e il fronte di Omaha Beach in Normandia. La guerra inclinava alla soluzione, anche se Hitler non voleva ammetterlo. Robert Capa aveva seguito la campagna di Francia sino alla liberazione di Parigi, e Parigi gli era apparsa finalmente colma di gioia. Aveva cancellato dalla sua memoria il torvo passato dell'incubazione della guerra. Nel 1945, impaziente, si era fatto paracadutare con le truppe americane in Germania per riprendere l'espugnazione di Lipsia, Norimberga e Berlino. Ed era diventato americano a tutti gli effetti nel 1946. Proprio come aveva ipotizzato Gerda Taro: «The glamorous and successful American photographer named Robert Capa». Ma Gerda non c'era più. Era morta in Spagna in un incomprensibile pasticcio. Era stato chiamato a Hollywood, aveva provato a pensare a una carriera di produttore o di regista, e aveva concluso che non gli interessava. Se n'era andato a fare un grande servizio in Turchia. Nel 1947 con i suoi amici Henri Cartier-Bresson, David Seymour (o «Chim»), George Rodger e William Vandivert aveva fondato la Magnum, l'Agenzia fotografica degli Assi. E aveva sfruttato a lungo l'amicizia con lo scrittore John Steinbeck per accompagnarlo in Russia, mentre a tutti gli altri fotografi era ancora preclusa. Era stato in Cecoslovacchia, in Polonia, nella La falsa accusa Una falsa accusa d'intelligenza con i comunisti gli aveva fatto ritirare il passaporto dagli Usa il che significava l'impossibilità di muoversi nel mondo e, quindi, di lavorare. E, siccome le disgrazie non vengono mai sole, la spina dorsale aveva cominciato a dolergli sino a dover essere ricoverato in ospedale. Ma quando nel 1954 gli era stato restituito il passaporto, e con quello ì'americanità, il diritto a campare, a lavorare, non aveva perso tempo. Aveva la smania di recuperare con il consueto sperpero di energia e coraggio. In Giappone per settimane e settimane. Poi un mese in Indocina, un mese per sostituire il corrispondente di Life. Di nuovo, una guerra. E una guerra ancora più sporca delle altre. Il 25 maggio si trovava con un convoglio francese sulla strada tra Namdinh e Thaibinh. Il convoglio a un tratto si era fermato come per sempre, e Robert Capa si unì a dei soldati che proseguivano a piedi costeggiando la strada. Inciampò in una mina antiuomo e fu ucciso dall'arma più stupida sul campo di una guerra non sua, come non le erano mai state tutte le altre guerre. E' inevitabile, lo si è già detto, che in questo grande album il color nero predomini. Ma Robert Capa ha avute il grande dono di far risaltare la resistenza dell'essere umano attraverso le grandi prove di questo secolo. E' un documento severo e tenero, un atto di accusa e di pietà. Ma anche di qualcos'altro, bisogna tornare a esaminare quel suo ritratto, a pagina 8 dell'album. Robert Capa pare volerci comunicare qualcosa di speciale. Oreste del Buono «sua» Ungheria. Tra il 1948 e il 1950 si era dedicato a far conoscere lo Stato di Israele e ne aveva eternato, per quel che può eternare una fotografia, la dichiarazione d'indipendenza. Era diventato presidente della Magnum, di diritto. Un uomo importante, come s'è detto. Ma d'improvviso nel 1953 tutto era parso cambiare. Un documento severo e tenero Tra luci, ombre, drammi rubati con una sorpresa in un ritratto predomina il color nero Qui sopra, un soldato italiano in Sicilia nel 1943; accanto, un ritratto di Capa di Ruth Orkin; a destra, Hemingway a caccia nella Sun Valley; sotto, due emigranti ebrei arrivano a Haifa nel 1949 |p 1