Bibi e la danza sul baratro di Fiamma Nirenstein

Ma con Assadsi rischia un'altra guerra Bibi e la danza sul baratro Ma con Assadsi rischia un'altra guerra GLI ERRORI PERICOLOSI TEL AVIV ON si finisce mai di trasecolare nel folle Medio Oriente. Ariel Sharon, noto al mondo intero come il più duro dei falchi, che nel santo giorno del Sabato, di fronte alle reazioni siriane, salva Netanyahu da ima delle scivolate che ormai stanno diventando un classico della sua politica e mette pace, sia pure momentaneamente, fra Israele e Siria bloccando la compagnia petrolifera che aveva cominciato a fare buchi nel Golan con il permesso del primo ministro! C'è da non crederci. Se qualcuno avesse avuto l'animo e la possibilità di farlo quando stava per essere aperta la galleria del Monte del Tempio, un altro punto nevralgico della sensibilità palestinese e araba in generale forse non sarebbe stato leso, e tanti guai si sarebbero evitati. Ora, siamo alle solite: in una situazione tesa e controversa come quella attuale con la Siria, era stato sottovalutato soprattutto lo scenario psicologico confacente all'onore di Assad, che infatti ha reagito fortemente alle trivellazioni nel Golan. E' ormai nello spirito consueto di Netanyahu voler condurre la danza secondo il suo ritmo, ignorando che il mondo arabo parla una lingua diversa ed enormemente pervasa di elementi simbolici legati al concetto del potere e a quello dell'onore. Questo ignorare, muoversi al limite, fingere, è già costato molto sangue agli israeliani e ai palestinesi. In Israele ormai si parìa con ima certa facilità, nelle case, in taxi, della possibilità di una nuova guerra con la Siria. E' passata molta acqua sotto i ponti da quando, prima delle elezioni (senza che tuttavia sia mai stato dato di vedere un documento scritto) si disse che i dettagli tecnici e anche i tempi di un ritiro israeliano dal Golan erano stati già concordati durante gli incontri negli Usa. Ciò che è certo è che, dal momento in cui Netanyahu è diventato primo ministro, Assad ha lanciato una serie di messaggi molto pressanti, sostenendo che Rabin gli aveva promesso che il Golan sarebbe stato tutto quanto lasciato nelle sue mani. Le parole di Assad sono state accompagnate da intensi movimenti di truppe sul confine, e da minacce di guerra. Alcuni commentatori dicono che si tratta di gesti tesi a spingere Netanyahu ad adottare le posizioni del suo predecessore. Altri, invece, pensano che Assad vo¬ glia che Netanyahu la smetta con i discorsi roboanti e minacciosi che (dopo un primo momento di basso profilo accompagnato dalla parola d'ordine «prima il Libano») promettevano al rais siriano di attaccare le sue truppe nel Sud del Libano, di spingere gli americani a condannare la Siria come Stato terrorista, e a scomunicarlo sul piano internazionale a causa del regime dittatoriale incurante dei diritti civili che lo contraddistingue. Di fatto, quello che è accaduto è che i due Paesi hanno preso a considerarsi l'un l'altro dei sorvegliati speciali, e a spiare i reciproci movimenti con spasmodica attenzione. Israele, che nella guerra del Kippur del 1973 fu colto di sorpresa, e subì dalla Siria molte perdite, segue da allora il principio di tenere la guardia molto alta. Netanyahu, di fronte alle proteste dell'esercito che reclama più fondi a causa delle minacce siriane, si è già detto disponibile ad alzare il budget. Assad, che non attribuisce alla pace, certamente, un valore in se stesso, e ha già minacciato più volte di portare guerra a Israele se non gli verrà restituito il Golan (che è stato sotto il controllo siriano dal 1843 al 1967), coglie ogni minimo segnale per alzare il livello di allarme nella zona. E Netanyahu gioca questo poker piuttosto spregiudicatamente. Ci sono in questa vicenda due scadenze: una è indefinita e cupa, costituita dalla malattia di Assad, che peraltro tutti considerano da almeno un decennio in fin di vita e che invece dimostra di cavarsela ancora assai energicamente. L'altro sono le elezioni americane. La Siria pensa che non appena Clinton sarà di nuovo saldamente al potere, impegnerà molte energie per costringere Netanyahu a consegnare il Golan. E qui si apre un altro buco nero: infatti ancora il primo ministro israeliano non ha mai veramente espresso fino in fondo il suo punto di vista se non con generiche formule. Tendenzialmente, data la sua politica che danza sull'orlo del baratro in attesa che qualcuno lo tiri per la manica, può darsi che non dia molta importanza alle pressioni americane. Allora, qui, potrebbe davvero avvenire che lo spintone glielo dia Assad, stavolta non per svegliarlo, ma per spingerlo con la forza giù dal Golan. Fiamma Nirenstein