«Noi pentiti offesi dallo Stato» di Francesco La Licata

«Noi, pentiti offesi dallo Stato» «Noi, pentiti offesi dallo Stato» Mannoia: c'è troppa feccia, non parlo più ^^llllllllli COLLABORATORI NEL MIRINO E ROMA SPLODE il problema-pentiti. Dopo una lunga gestazione sotterranea e silenziosa, vengono fuori tutte le contraddizioni, i desideri repressi, il malcontento a più riprese denunciato, le frustrazioni, le delusioni per le promesse negate, di un «popolo» - quello dei collaboratori di giustizia - che, dopo anni di speranze, vedono allontanarsi il giorno della normalizzazione. Anzi, vedono complicarsi, giorno dopo giorno, il loro futuro. A portare all'esterno l'angoscia degli ex mafiosi ci hanno pensato due «veterani» del pentitismo mafioso: Francesco Marino Mannoia, l'uomo che si consegnò a Giovanni Falcone raccontandogli tutti i segreti del traffico della droga e della cosiddetta vecchia mafia «perdente», e Rosario Spatola, mafioso di Campobello di Mazara uscito da Cosa nostra per collaborare col giudice Paolo Borsellino. Sono apparentemente molto diversi l'imo dall'altro i motivi della protesta di Mannoia e Spatola. Eppure li avvicina un malessere comune: lo stato di incertezza, la ormai evidente «difficoltà gestionale», sia dal punto di vista dei problemi concreti, sia per la confusione che si è generata dopo la comparsa all'orizzonte di pentiti «ingombranti», come Giovanni Brusca e qualche altro, «accettato» con un pizzico di fretta. E proprio da quest'ultimo aspetto muove la clamorosa protesta di Francesco Marino Mannoia che, collegato in videoconferenza con la corte d'assise di Caltanissetta, parla soltanto per dire: «Non collaboro più». Perché mai tanta determinazione? Mannoia è uomo di poche parole, parla solo quando ha qualcosa da «far sapere». E, in questo caso, vuol far conoscere tutto il suo disagio per quella che definisce «una situazione di degrado, di vergogna, che si è creata nei confronti dei collaboratori di giustizia». Chiarisce così il concetto: «Si sta facen¬ do di ogni erba un fascio. Ora si prende a collaborare la feccia dell'umanità, anche barbari assassini di bambini che hanno la speranza di tornare liberi in pochi giorni». Il riferimento a Giovarmi Brusca è evidente. A Mannoia non va giù che «'u verni» venga accettato nella grande famiglia dei pentiti. In questo si trova d'accordo con alcuni magistrati, fortemente contrari all'ingresso di Brusca nel programma di protezione. Ma per motivi diversi da quelli accampati da Mannoia: non perché guidati da un giudizio morale su Brusca, ma per una diffidenza verso un «dichiarante» che ha detto molte bugie. E queste sono le sole perplessità condivisibili, anche perché Mannoia non è il più adatto a «giudicare» chi è «barbaro assassino» e chi «mafioso buono». Comunque, il risultato della protesta è che al processo per la morte di Giovanni Falcone, della moglie e dei poliziotti della scorta, non si è sentita una voce dell'accusa: «Non risponderò più - ha detto il pentito non intendo più collaborare. Ne risponderò con le autorità competenti, chiedo scusa umilmente a tutti, e ricordo semplicemente i miei sette anni di collaborazione». Da Marsala, affidata all'aw. Silvio Forti, arriva la protesta di Rosario Spatola. Le regole del prorramma di protezione non gli consentono un suo intervento diretto, e così il pentito si è rivolto al proprio legale. Spatola ha inviato un esposto ai presidenti di Camera e Senato, all'on. Tiziana Parenti e ai presidenti delle commissioni giustizia del Parlamento. «Vi è stata e vi è in atto scrive il pentito - una gestione arbitraria dei collaboratori di giustizia». Perché protesta Spatola? A prima vista sembra agitato da problemi personali legati alla sopravvivenza. Sembra che abbia chiesto, senza ricevere risposta, aiuto per avviare im'attività lavorativa che consenta a lui e alla sua famiglia di uscire dall'assistenzialismo dello Stato. A fronte di questo «silenzio» nei suoi confronti, Spatola denuncia che altri pentiti «continuano a godere dei vantaggi legati allo status di collaboratore nonostante non prestino piena e disinteressata collaborazione, tentino di concordare con altri le versioni da dare durante i processi ed evitino di accusare deterniinati soggetti». Insomma, esisterebbero - secondo lui - pentiti di serie «A» e pentiti di serie «B». La verità è forse che tra i collaboratori ha preso a serpeggiare il panico, da quando è stato annunciato il famoso «giro di vite» del governo. Francesco La Licata Polemiche dopo il «giro di vite» del governo. «Siamo discriminati» A fianco, il giudice Giovanni Falcone, vittima della mafia. A sinistra, il pentito Francesco Marino Mannoia

Luoghi citati: Caltanissetta, Campobello Di Mazara, Marsala, Roma