«Esame di francese all'Onu»

Nuovo allarme «E' un lingua fondamentale nelle relazioni internazionali» «Esame di francese all'Orni» Chirac: esigo un segretario francofono LAGRANDEUR A OGNI COSTO PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Che il futuro segretario generale Onu s'immerga nella lettura di Racine, Hugo e Proust, senza trascurare il ripasso dei verbi irregolari e il corretto impiego del circonflesso: Chirac boccerà senz'appello i candidati alla prestigiosa carica che non siano «perfettamente francofoni». Il Presidente l'ha ribadito in termini inequivocabili dalla penultima tappa - Beirut - del suo controverso tour mediorientale brandendo l'arma del veto. E Chirac non intende limitarsi alle minacce. Nella disperata battaglia per conservare al francese lo status di lingua tuttora indispensabile nelle relazioni internazionali, Parigi è impermeabile ai compromessi. Né la sfiora il senso del ridicolo. Stabilire requisiti linguistici quale conditio sine qua non per attribuire la carica più delicata del pianeta denota una certa miopia politica. Il francese lo si potrà sempre perfezionare a elezione avvenuta. Meno facile, invece, improvvisarsi., leader delle Nazioni Unite se manca la stoffa. E non è certo l'essere francoparlanti a garantirla. Fortunatamente Russia e Cina non sottoporranno a test nei rispettivi idiomi il successore di Boutros Ghali. Per comprendere l'ostinazione chiracchiana bisogna in ogni caso tener conto delle sempre più allarmanti statistiche sulla francofonia. In regresso da anni, il francese conosce vere débàcles in America Latina e i periodici allarmi non sembrano in grado di frenarne il crollo. Persino a Bruxelles e Strasbur- go, ove gioca quasi in casa, la pressione anglofona è tale da riservargli smacchi non solo episodici. Si dice che i diplomatici transalpini abbiano l'ordine di non transigere. Qualora l'interlocutore si rivolga loro in inglese, a costo di parere indelicati, s'impone una replica francese. Solo in extremis, dunque, Jacques Chirac si è risolto a usare l'aborrito idioma nella città vecchia di Gerusalemme per allontanare i gorilla israeliani, non particolarmente recettivi a un'invettiva in madrelingua. «This is not the matterl», obiettava livido in volto agli ufficiali che tentavano di ammansirlo con dei «Siamo qui per proteggerla». E l'inglese di Chirac, aggiungiamo,; è certo migliore del francese di Clinton 0 di Gore, sbarcato a Notre Dame per i funerali di Mitterrand con un sonoro «Good Morning». 1 telespettatoli Usa ricorderanno inoltre che, ospite di un talkshow americano, Chirac annunciò senza bisogno d'inter¬ prete la fine dei test a Mururoa. Le ragioni del veto vanno dunque cercate altrove. Non è anglofobia ma francofilia quella che spinge l'Eliseo a irrigidirsi. Su sottofondo, tuttavia, di contenzioso con gli Usa. Ancora ieri, pur sapendo che le sue parole cadranno nel vuoto Chirac invitava Washington a non contrastare la rielezione di Boutros ~hali. Di cui Parigi loda l'orientamento politico non meno della dimestichezza con il francese. Inoltre, a poche ore dall'incidente di Gerusalemme e dai malevoli commenti americani in proposito, come non pensare che l'ukase di Chirac sia anche una rappresaglia anti-yankee. Leggere sul «New York Times» che «una sola* parola chiave ispira la politica mediorientale francese: denaro, denaro», é vere ei proprie contumelie sul «Wall Street Journal» non deve aver messo l'Eliseo di buon umore. Dunque, veto. Da pronunciarsi tronco, alla francese. [e. b.l Dagli Usa duri attacchi all'Eliseo «La sua politica in Medio Oriente pensa solo al denaro» Il presidente francese Jacques Chirac minaccia di usare l'arma del veto