Necci quattro ore sotto torchio
La difesa: un incontro utile, ma ha respinto tutte le accuse. Uscirà presto, a testa alta La difesa: un incontro utile, ma ha respinto tutte le accuse. Uscirà presto, a testa alta Necci quattro ore sotto torchio Anche Tremoliti ascoltato daipm della Spezia LA SPEZIA DAL NOSTRO INVIATO Il presidente1 deposto è davanti ai suoi giudici. Racconta, protesta, puntualizza, corregge, interpreta, chiosa. Insomma, si difende. Per quattro ore e mezzo. «Chicchi» Pacini Battaglia l'ha messo nei guai e lui ora si trova nell'occhio di un ciclone che rischia di scaraventarlo chissà dove. Sì, è vero, lo «gnomo» di Ginevra gli allungava 20 milioni al mese per rimpinguare il suo stipendio di amministratore delegato delle FFSS, ma che bisogno c'era di parlarne ai quattro venti? Ed ecco com'è finita: l'avvocato Lorenzo Necci è diventato il detenuto Necci Lorenzo, accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla truffa. Le 16, un cellulare si infila nel parcheggio seminterrato del palazzo rosa. Arrivano pure i difensori: Paola Balducci, Paolo Masseglia e Alfonso M. Stile. Per questo suo primo appuntamento con i magistrati Alberto Cardino e Silvio Franz, Necci ha scelto un abbigliamento semplice: jeans, camicia celeste, la giacca in mano. Su, al quinto piano, guarda negli occhi i due pubblici ministeri. Cardino sorride appena, conduce lui il gioco, perché, come ha sottolineato Franz, chissà quanto sinceramente, fra i due «è il più tosto». I «malaffari» delle FFSS, ecco che cosa vogliono conoscere nei dettagli i pm, i segreti più nascosti, le manovre più complicate, i giochi di prestigio più imprevedibili. Va bene, cominciamo dai 20 milioni. Ma come saltano fuori? Perché non è credibile la storia del prestito. E Necci lo ha capito in queste settimane da eremita. «Ha avuto modo di spiegare in maniera molto completa e dettagliata», assicura Alfonso M. Stile. E poi altre domande, sulla Contship, sull'alta velocità, sul legame con Chicchi, che qui qualcuno chiama pactum sceleris. Stile spiega poi che Necci «ha avuto la possibilità di esporre con calma la sua attività di manager pubblico e dare ampiamente conto di tutto quello che ha fatto. Sì, siamo molto soddisfatti per com'è andata. Mi auguro e penso che questo incontro sia stato molto utile per precisare la sua posizione nella vicenda». Respinge le accuse? «Certamente che le respinge». Presenterete una nuova istanza di scarcerazione? «Siamo convinti di uscire». E incalza l'avvocato Balducci: «Uscirà a testa alta, con grande dignità». Avete parlato di Contship? «Certamente, si è parlato di Contship». E di Eni? «No!». Nomi, date: Cardino ha un modo di chiedere le cose che può essere definito vellutato: non alza la voce, pare preoccupato d'intimidire l'imputato. Ma non si arresta: è dalla mattina che interroga. Prima è toccato a un altro ferroviere con gran greca sul berretto: Stefano Spinelli, che era segretario generale del Cda delle Ferrovie. Alle 10, accompagnato dal difensore Alberto Mittone, di Torino, il top manager si è infilato nell'ufficio del pubblico ministero. In una cartella, mi cospicuo fascio di carte. Anche lui caduto nel vortice di «Tangentopoli 2» aveva avuto una perquisizione e avviso di garanzia per tentata truffa, per via dell'affare Contship, società che le Ferrovie avrebbero cercato di acquistare, almeno in parte, disposte sembra a una valutazione astronomica. Tre ore e mezzo, non un'eternità ma abbastanza per avere conferma che l'atto istruttorio non è stato soltanto una formalità. Spinelli ha respinto le accuse, ha fatto presente che, in fin dei conti, il business non è neppure andato in porto. Il ritmo dell'inchiesta ha avuto nelle ultime quarantott'ore un'impennata impensabile, quasi che i pubblici ministeri abbiano deciso di chiudere una prima fase per aprirne una seconda, perché, di giorno in giorno, aumenta il materiale consegnato da quelli del Gico di Firenze, Gruppo investigativo per la criminalità organizzata della Guardia di Finanza. E proprio loro, a Roma, ieri hanno interrogato i carabinieri del reparto operativo che nell'ottobre '94 arrestarono Mach di Palmstein, di professione finanziere, quello che si nascondeva a Parigi in casa dell'attrice Domiziana Giordano e che aveva con sé un dossier su Antonio Di Pietro. Interrogato pure un funzionario dell'Interpol che prese parte all'arresto. Era il crepuscolo quando a Palazzo è arrivato pure Giulio Tremonti, ministro delle Finanze del governo Berlusconi. Una visita spontanea, da zelante «persona informata sui fatti». Quali? Qualcuno aveva legato il suo nome al presunto complotto contro Federico Stella, avvocato in Milano, buon amico di Di Pietro e, in «Tangentopoli 2» primo difensore di Necci, che abbandonò quando venne a conoscenza che in una delle conversazioni con Emo Danesi, «Chicchi» aveva detto: «A me se Stella me l'ammazzano... fatto!». Tremonti ha raccontato al pm Franz la sua storia, compresa quella sera del 20 dicembre trascorsa a cena da Fortunato al Pantheqn, in compagnia di Stella e Publio Fiori. L'aveva organizzata lui, quella serata, per riconciliare i due dopo che Fiori aveva presentato un'interpellanza in Parlamento per avere spiegazioni su cinque miliardi che l'Eni avrebbe versasto al prof. Stella in pagamento di una serie di consulenze. Infine, a Villa Andremo, il carcere, «Chicchi», nel pomeriggio ha ricevuto la prima visita della moglie, Francesca Siergi Rossi, quella bloccata alla frontiera mentre portava in Svizzera un centinaio di milioni e un'agenda forse preziosa. Vincenzo Tessendoti
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