A scuola di democrazia dai Greci di Aristofane

Che cosa hanno lasciato nella nostra vita: intellettuali a confronto a Venezia A scuola di democrazia dai Greci di Aristofane Che cosa hanno lasciato nella nostra vita: intellettuali a confronto a Venezia Intellettuali a confronto nel pomeriggio a Venezia: nella chiesa di San Samuele, accanto a Palazzo Grassi e alla mostra «I Greci in Occidente», si terrà un dibattito intorno al volume Noi e i Greci edito da Einaudi. Vi partecipano Cesare Annibaldi, Guido Paduano, Kryzstof Pomian, Salvatore Settis e Gustavo Zagrebelsky, della cui relazione diamo un brano in anteprima. EOLO mettendo in rilievo la nostra alterità, possiamo evitare la liquidatoria sentenza di Nietzsche: «Se davvero comprendiamo la cultura greca, ci rendiamo conto che essa è finita, e per sempre». Per salvare i Greci al nostro spirito e renderci capaci di intessere un dialogo con loro, occorre accantonare la loro classicità e renderli coevi al loro tempo, vederli nella loro storicità, fatta di esperienze limitate e relative e spesso contraddittorie, di identità consapevole ma anche di autocritica e autoironia spesso corrosiva: ben al di là della ripetuta opposizione, che non esce neppur essa dall'esemplarità e dai limiti di questa, tra lo spirito apollineo e quello dionisiaco. Se c'è un campo nel quale questo programma trova conferma, questo è la politica e la democrazia, la cui fondazione è incontestabilmente nella Grecia classica, e per essa nell'Atene del V secolo. Già Benjamin Constant ha contrapposto la libertà degli antichi a quella dei moderni e nessuno oggi confonderebbe la democrazia dei primi con quella dei secondi. Ma la distanza può essere misurata più in profondo, come mostra il saggio di Paul Carledge ove troviamo tratteggiate numerose opposizioni. La «politica» dei Greci, cioè il processo che porta a decisioni collettive attraverso la pubblica discussione, si collocava all'interno di uno «spazio politico» (la polis) costituito da una dimen- sione etica di corresponsabilità che inglobava tutti gli uomini liberi, completamente perduta nella nozione attuale di cittadino e nella nostra tendenza a confinare la politica presso lo Stato (concetto e realtà, del resto, che appartengono soltanto ai moderni) e a contrapporre una «società civile» a una «società politica». Da qui, la concezione greca della politica come attività «naturale», appartenente all'uomo in quanto - secondo la celeberrima espressione di Aristotele - «animale politico». Oggi, il singolo si considera, semmai, un «animale sociale» e la politica viene vista come un'attività di secondo grado e artificiale, dotata di leggi proprie che, secondo gli innumerevoli machiavellismi teorici e pratici, possono perfino essere antitetiche a quelle proprie della «vita comune». La politica in Grecia era al centro della comunità, sia fisicamente (nell'agorà o nell'afcrqpoZis) che spiritualmente, nella considerazione dello spazio ch'essa occupava nella vita degli uomini liberi. Oggi, la si pone piuttosto in un'altra sfera, separata e più alta, alla quale solo alcuni - i professionisti della politica - si dedicano. La politica dei Greci era la funzione sociale d'insieme, alla quale tutte le altre erano ricondotte e subordinate. Oggi, «il politico» si considera un «sistema parziale» o un «sottosistema», che coesiste e deve fare i conti con altri sistemi - quello economico, in primo luogo - rispetto ai quali non è detto che esca vincente. La democrazia della polis greca poteva essere democrazia diretta, priva di apparati esecutivi ad hoc, perché presupponeva l'esistenza di una propria identità comunitaria. Oggi, le democrazie sono pluraliste e devono essere «rappresentative», poiché l'unità non è un dato di fatto, ma deve essere resa visibile, per l'appunto rappresentata unitariamente in istituzioni distinte. L'essenza del pensiero politico greco classico è la politeia, termine e nozione che noi moderni difficilmente afferriamo: condizione del membro della polis, cioè cittadinanza; ma an¬ che vita concreta e quotidiana «da cittadino» e quindi comunità organizzata dei cittadini, cioè costituzione; non freddo sistema di regole ma «organismo morale» che si regge sulle virtù dei suoi membri e richiede l'adempimento di fondamentali doveri di compartecipazione. L'individuo isolato è inutile, non appartiene alla politeia. Al contrario, vi entra a far parte una volta che le dedica il meglio delle sue forze morali, nella vita reciprocamente e politicamente attiva con i suoi concittadini (secondo l'interpretazione della democrazia greca di Hannah Arendt, nella sua Vita activa, una ipostatizzazione celebrativa dello spirito politico greco classico). Tale compartecipazione era ispirata alle massime iscritte nel centro della «grecità», il tempio di Apollo a Delfi: «conosci te stesso» e «nulla in misura eccessiva». La politeia era così un concetto gravido di implicazioni e pretese morali e intriso di religiosità, rispetto al quale la moderna pretesa di «sfere private di libertà dallo a , o ù i . , l e o a e i a h , o e : n a di e l i o cepibile. Tutto questo, naturalmente, è un'idealizzazione, tanto della politeia quanto della democrazia. Sulla realtà delle cose, i Greci stessi ben sapevano esercitare la critica, come nella teoria delle forme di governo buone e corrotte, e la satira, come nelle commedie di Aristofane (prima fra tutte I cavalieri, ove troviamo lo strepitoso pezzo di bravura di demos, il popolo, che si lascia sedurre con il prezzo delle acciughe dal salsicciaio demagogo). Ora è evidente che la realtà delle cose può permettere di lanciare ponti tra la democrazia nostra e la loro: il demagogo che la spara grossa è una figura perenne, e la folla che se la beve anche. Invece, sono i modelli ad apparire lontanissimi. E, pur tuttavia... Una volta preso atto dell'irriducibilità della nostra democrazia alla loro, chi può dire che manchi di presa l'idea, non foss'altro come correttivo delle nostre estraneanti e irresponsabili istituzioni rappresentative, di un recupero parziale di forme proprie della democrazia antica? I nostri strumenti di democrazia diretta non sono forse un rimpianto e un modo per colmare un vuoto? Essi ci appaiono seducenti non tanto per sé, nella loro meccanica istituzionale, quanto per l'allusione che contengono a una comunità di uomini liberi e uguali, capaci di assumere decisioni collettive con piena responsabilità, spirito di dedizione alla vita comune e virtù politica. Ma la meccanica delle istituzioni non genera per se stesso il contesto in cui può dare buona prova. Il contesto è un dato che deve essere costruito. Se manca, ci ammonisce Aristofane dall'alto dei secoli, non meno autorevolmente di un pensoso filosofo, si rischia la democrazia del salsicciaio. Gustavo Zagrebelsky La loro idea di politica un correttivo delle nostre irresponsabili e estraneanti istituzioni rappresentative Un particolare del corteo panatenaico, dal fregio del Partenone oggi conservato al British Museum di Londra: è uno dei massimi capolavori dell'arte di Fidia e la plastica rappresentazione della consapevolezza politica di Atene nel V secolo a. C.

Luoghi citati: Atene, Grecia, Londra, Venezia