«Arendt rimossa da sinistra strumentalizzata da destra»

polemica. L'accusa di Bolaffi, mentre esce «Ritorno in Germania» «Arendt, rimossa da sinistra strumentalizzata da destra» polemica. L'accusa di Bolaffi, mentre esce «Ritorno in Germania» TROMA RA le macerie della Germania appena uscita dalla guerra, Hannah Arendt ri I fletteva sul destino del suo Paese. Era il 1950: la pensatrice ebrea tedesca si era imbarcata in un faticoso ritomo. Rimetteva piede in patria per la prima volta dopo il lungo esilio che nel 1933 l'aveva portata, in fuga dalla Germania di Hitler, prima a Parigi e poi negli Stati Uniti (dove vivrà fino alla morte). Durante il suo giro, durato sei mesi, la Arendt ritrovava anche il maestro e amante Heidegger. Nel soggiorno in questa Germania per molti versi inaspettata e sconosciuta, la filosofa si trovava di fronte a una tremenda verità: nella nazione distrutta era in atto un'enorme opera di rimozione del passato, uno sforzo di seppellire tutto quello che era accaduto. «In mezzo alla rovine, i tedeschi si scrivono cartoline raffiguranti piazze, cattedrali e piazze del mercato, edifici pubblici e ponti che non esistono più. E l'indifferenza con cui si muovono tra le macerie si rispecchia nel fatto che nessuno porta il lutto per i morti e nell'apatia con cui essi reagiscono o, piuttosto, non reagiscono al destino dei profughi che vivono tra loro». Queste annotazioni facevano parte di un bellissimo saggio, fino a oggi inedito in Italia, che uscirà a giorni da Donzelli: Ritorno in Germania, a cura del germanista e filosofo Angelo Bolaffi. Le analogie e le diversità dei cosiddetti «ismi» fascismo, nazismo, stalinismo erano il centro di Le origini del totalitarismo che apriva la strada alla moderna storiografia. Eppure questo libro (come il profetico Ritorno in Germania, in cui la Arendt criticava il modo con cui venivano cancellati dalla memoria gli orrori del nazismo nella Germania di Adenauer) pur avendo largo ascolto nei Paesi anglosassoni sarà messo da parte in Germania e in Italia. La Arendt sarà considerata tabù per decenni. A puntare il dito sugli enormi ritardi sia della Scuola di Francoforte - che volutamente cercò di rimuovere le tesi di una pensatrice scomoda - sia della sinistra italiana, è proprio Bolaffi. «La riflessione della Arendt era anche troppo pessimista sul futuro della Germania osserva -. Ma era lucidissima in un altro senso poiché invitava a non occultare il passato. Eppure nemmeno gli studenti del '68 tedesco, come Daniel CohnBendit, che esortarono i tedeschi a fare i conti con la memoria dei lager, la rivalutarono. Ironia della sorte, il "rosso" Cohn-Bendit aveva persino con la Arendt dei rapporti di parentela». E gli intellettuali italiani come si comportarono nei suoi confronti? «Non bene - risponde Bolaffi -. E dire che la Arendt non era per nulla sconosciuta. Nel 1967 venne tradotto dalle edizioni di Comunità Le origini. Eppure la sinistra ufficiale non la prenderà in considerazione. Ma non si occuperanno di lei nemmeno I quaderni piacentini, o Fortini o Cases. Né Laboratorio politico, oppure Asor Rosa, Colletti, Marramao o Cacciari. Un suo saggio appare nella raccolta delle opere di Hermann Broch a cura di Saverio Vertone. La pensatrice-tabù veniva volentieri dimenticata. Saranno gli studiosi allora considerati di "destra", come Renzo De Felice o Augusto Del Noce, a riscoprirla. Oggi poi il revisionismo di Ernst Nolte ne strumentalizza il pensiero, poiché, equiparando il lager al gulag, vorrebbe stendere un velo sui misfatti del nazismo. Mentre l'obiettivo della Arendt era di riportare in vita proprio una memoria che si voleva cancellare». E oggi, dopo che la sua analisi dei «totalitarismi» è stata accettata da storici e politologi? «L'opera della Arendt, come quella di Simone Weil, è da considerare il fondamen- to della politica moderna. Non è singolare che proprio due donne, entrambe ebree e segnate dalla persecuzione e dall'esilio, siano in grado di rispondere ai grandi interrogativi sulla natura della politica? A riscoprire la Arendt in Italia ha contribuito molto il lavoro svolto dal politologo e direttore di MicroMega Paolo Flores d'Arcais. Ma io, contrariamente all'interpretazione di Flores secondo cui il pensiero della filosofa è soprattutto uno strumento utile per smascherare le "menzogne" della politica, penso che esso ci serva a chiarirci sui compiti rispettivi del politico e dell'intellettuàle: che debbono essere sempre più separati. Con gli intellettuali impegnati nella critica dell'esercizio del potere, secondo le indicazioni della Arendt». Mirella Serri «In Italia non era per niente sconosciuta eppure non si occuparono di lei né Fortini né Cases, né Colletti, Asor Rosa o Cacciari» ietà e ania» tra a» nte sconosciuta di lei né Fortini osa o Cacciari» destra annah Arendt ui a fianco Porta di andeburgo a rlino subito po la fine lla guerra A destra Hannah Arendt Qui a fianco la Porta di Brandeburgo a Berlino subito dopo la fine della guerra