I «fantasmi» del Ventennio vanno in gita a Montecitorio

I «fantasmi» del Ventennio vanno in gita a Montecitorio Tre deputati di An scrivono a Violante: i ritratti de« presidenti del fascismo vanno ripristinati nella galleria della Camera I «fantasmi» del Ventennio vanno in gita a Montecitorio RITORNO AL PASSATO PROMA RESIDENTI presenti e presidenti assenti, anzi da ieri rimossi, mutilati, oscurati... E non c'è pace, dunque, su quel muro di Montecitorio, in quel tratto buio di corridoio dove, in allineamento inevitabilmente un po' funereo, si possono rimirare i foto-ritratti dei personaggi che dall'Unità d'Italia in poi si sono avvicendati alla guida dell'assemblea. Non c'è pace non solo perché lassù seguita a mancare la Irene Pivetti, con il che lasciando fermentare giù in portineria l'inesorabile gorgoglio di chiacchiere: «Ha mandato una foto favolosamente sexy», «a colori», «a figura intera», e quindi respinta; «no, è Violante che non gliel'ha chiesta» e il vuoto sulla parete testimonia semmai lo sdegno pivettiano. Però, siccome evidentemente questo mistero di iconografica attualità non bastava, ieri mattina tre deputati di Alleanza nazionale - gli onorevoli Del Mastro Delle Vedove, Butti e Giorgetti hanno in qualche modo aperto un enigma storiografico a sfondo revisionista. In due parole, hanno scritto una lettera a Violante chiedendogli di ripristinare, nella fatidica galleria, le care (per loro) immagini dei presidenti del periodo fascista di Montecitorio (1923-1946). Che non ci sono, in effetti. Ma c'erano. Forse. 0 forse no, non ci sono mai state. E comunque, scomparso il giornalista Emilio Frattarelli, che del Palazzo conosceva gli usi e i costumi fin dall'epoca pre-fascista, sarà molto difficile ricostruire la verità storica su quel muro e sulle sue vicissitudini post-belliche. Come che sia, intanto, la lettera dei deputati di An è lì, la questione è posta, e un qualche responso Violante dovrà pur darlo. Ora, anche senza entrare nella probabile disputa sull'opportunità di esporle, va da sé che di quelle foto, ieri, nessuno sapeva nulla, essendo già piuttosto arduo anche soltanto sapere chi fossero stati i presidenti fascisti della Camera (pure trasformata, nel 1939, in Camera dei fasci e delle corporazioni) da elevare all'altarino del pantheon di Montecitorio. D'altra parte, a colmare il «buco» ventennale conquistandosi un posto in parete tra i democratici De Nicola e Saragat, sono figure che a un quarantenne di oggi risultano intimamente e perdutamente lontane: il giurista nazionalista Alfredo Rocco, il radicale Antonio Casertano (campano, introdusse la convenzione con il Banco di Napoli) e il gerarca, già capo di gabinetto di D'Annunzio a Fiume, Giovanni Giuriati. Se poi si considera anche la Camera dei fasci e delle corporazioni, sul muro in questione, con inesorabile scombussolamento geometrico, andrebbero inclusi pure i ritratti di Costanzo Ciano, il papà di Galeazzo, con i suoi gagliardi baffoni e di Dino Grandi, che il 25 luglio al regime fascista assestò un bel colpetto. Dopodiché, con la Repubblica di Salò, la Camera venne bizzarramente trasferita a Venezia, nel palazzo del Casinò, come scrive il professor Mario Pacelli, il più grande erudito di storia parlamentare, «tra i tavoli verdi della roulette e del baccaraU, sotto la guida del commissario parlamentare Araldo di Crollalanza. E di quest'ultimo, oltretutto neanche formalmente presidente in un turbine di eventi che videro sparire documenti e argenteria, si potrebbe pure fare a meno. Dal 1925, in verità, quella Camera che Mussolini aveva minacciato di far divenire «un bivacco per i miei manipoli» aveva sospeso ogni anche minima parvenza di libertà: una circolare, per dire, prescriveva l'obbligo del saluto romano; un'altra imponeva agli impiegati la camicia nera; un'altra ancora, del 1933, li costringeva ad essere iscritti al pnf. Il paradossale, se si vuole, dell'odierna richiesta dei tre deputati di An sta semmai nel fatto che, una volta abrogata la democrazia e preso definitivamente il potere, i fascisti furono lestissimi a fare sparire non solo dai muri, ma anche dagli archivi di Montecitorio tutto ciò che ricordava il passato, a cominciare dalle foto di riconoscimento dei deputati liberali, popolari, socialisti e comunisti. Per cui, quando nel 1946 questi ultimi e altri più gio vani antifascisti rientrarono nel Palazzo, non trovarono nulla perciò gli parve del tutto naturale staccare da quella parete i ritratti dei loro persecutori, chiudendo così, anche visivamente, la parentesi della dittatura. Se quelle immagini, oggi, debbano o meno ritornare, può sembrare questione davvero meno urgente di tante altre. Eppure, si sa che i parlamenti, oltre che di parole e fatti, vivono anche di simboli e, in qualche modo, di «sacre» icone. Così, non lontano dal corridoio dei presidenti ci sono pure dei busti di marmo o, da qualche anno, in bronzo che la Camera ha dedicato, genericamente, ai «pa dri della Patria». Tra i moderni ci sono Moro, Nenni, Di Vittorio, La Malfa e Togliatti. Quest'ultimo da subito teppisticamente contestato, anche con colla e targhette, da quell'onorevole Tassi che oggi - chissà - potrebbe pure sottoscrivere la cortese lettera a Violante sull'integrazione storica della galleria presidenziale. Una cosetta, certo che lascia il tempo che trova. Ma forse, a saperla leggere, anche un piccolo segno dei tempi. Filippo Ceccarelli Manca anche la foto della Pivetti Sulla vicenda una ridda di voci Quelle immagini vennero tolte per cancellare una dittatura 1 flaWMMMMBIMÌBWWMMMI^^

Luoghi citati: Fiume, Italia, Napoli, Salò, Venezia