Genetica, elio superfluido e una molecola fatta a pallone

Genetica, elio superfluido e una molecola fatta a pallone Genetica, elio superfluido e una molecola fatta a pallone MOLTI scienziati attendono le prime due settimane di ottobre con ansia, curiosità e - magari - speranza: in questi giorni l'Accademia delle scienze di Stoccolma assegna i Premi Nobel per la medicina, la fisica e la chimica, e non c'è dubbio che questi riconoscimenti rimangono anche oggi i più prestigiosi a cui un ricercatore possa aspirare. Oltre ad essere dotati di una somma da capogiro: quest'anno intorno a un miliardo e 800 milioni. Alfred Nobel, istituendo nelle sue ultime volontà il riconoscimento che porta il suo nome, coltivava una aspirazione filantropica: nelle sue intenzioni il premio doveva andare a ricerche utili all'umanità, anche a compensazione dei danni prodotti da un cattivo uso, a scopo bellico, della sua invenzione più famosa, la dinamite. Naturalmente con il tempo la situazione della ricerca scientifica è molto cambiata. L'utilità di una scoperta non sempre è subito evidente. Certe scoperte, in apparenza senza applicazione, a distanza di tempo possono rivelarsi preziose. Così, spesso, negli ultimi tempi il Nobel è andato a scoperte di scienza pura. Si pensi per esempio a Weinberg, Glashow e Salam, premiati per la teoria elettrodebole. Inoltre oggi la figura del genio solitario è quasi scomparsa: si lavora in équipe, e quindi non sempre è facile individuare chi davvero merita il premio. MEDICINA IL premio Nobel per la medicina è stato assegnato all'australiano Peter C. Doherty e allo svizzero Rolf M. Zinkernagel per le loro scoperte sul funzionamento del sistema immunitario e in particolare dei linfociti T, un tipo di cellula presente nel sangue e nei tessuti che controlla un meccanismo fondamentale per la sopravvivenza: il meccanismo che distingue tra il sé e il non-sé, cioè tra i tessuti del nostro corpo e gli agenti esterni, che possono essere batteri, virus o sostanze tossiche. Queste ricerche hanno portato alla produzione di nuovi vaccini, a migliorare la tecnica dei trapianti, a terapie per i tumori e alla nùglior comprensione di malattie come le forme reumatiche, il diabete, la sclerosi multipla e l'Aids, tutte patologie in qualche modo collegate a un eccesso o a una carenza di risposta immunitaria. Doherty ha 55 anni ed è un ex veterinario che lavora attualmente al St. Jude's Research Hospital di Memphis, nel Tennessee. Zinkernagel, 52 anni, dirige l'Istituto di immunologia di Zurigo. Vediamo in che cosa consiste la loro scoperta. I linfociti sono cellule che hanno il compito di individuare ed eliminare gli aggressori del nostro organismo. Esistono linfociti B e T. IB reagiscono all'aggressione Lo svizzero Rolf Zinkernagel producendo le immunoglobuline. I linfociti T, così chiamati perché il loro «addestramento» avviene nel timo, un organo che sta dietro lo sterno e che ha una vivacissima attività nella fase prenatale e nei primi 20 anni di vita, funzionano in modo più complicato. Doherty e Zinkernagel hanno dimostrato con esperimenti fatti su ceppi diversi di topi che essi T applicano non uno ma due meccanismi per identificare l'aggressore, e solo se scattano entrambi avviene la reazione del nostro organismo: un po' come se per aprire una porta occorressero due chiavi. FISICA DOUGLAS D. Osheroff, Robert C. Richardson e David M. Lee, tutti e tre americani, sono i vincitori del Nobel '96 per la fisica. Il loro studio riguarda il fenomeno della superfluidità che si manifesta nell'elio-3 (un isotopo raro dell'elio-4) quando questo gas viene raffreddato fino alla bassisima temperatura di due millesimi di grado sopra lo zero assoluto. Che l'elio-4 a bassissima temperatura diventi superfluido era un fenomeno noto fin dal 1938: i suoi nuclei, formati da 2 protoni e 2 neutroni, quando per il gran freddo cessano quasi del tutto le vibrazioni, obbediscono alla statistica di Bose-Einstein che regola il comportamento quantistico dei bosoni. Così i nuclei di elio si muovono compatti come i soldati di un battaglione, quasi si trattasse di un unico atomo: l'elio riesce allora a passare velocissimo in microscopici fori o ad arrampicarsi lungo le pareti di un recipiente in barba alla legge di gravità. L'elio-3, invece, ha nuclei formati da due protoni e un neutrone, e quindi si comporta come un fermione e obbedisce alla statistica di Fermi-Dirac, per cui non dovrebbe diventare superfluido. I vincitori del Nobel, invece, hanno dimostrato che ciò avviene (ma a temperatura anco- Robert Richardson, Usa ra mille volte più bassa) perché in quella situazione i nuclei si dispongono in coppie nelle quali ciascuna particella orbita a una distanza fissa intorno all'altra, e quindi è come se si trasformassero in bosoni. Di conseguenza anche l'elio-3 può comportarsi come un superfluido e filtrare attraverso minuscoli tubi. Anche in questo caso, come in quello della superfluidità dell'elio-4 o in quello della superconduttività, abbiamo una manifestazione su scala macroscopica di fenomeni quantistici di solito osservabili solo su scala microscopica. CHIMICA IL Nobel per la chimica '96 ha premiato la scoperta di una strana molecola del carbonio, chiamata fullerene. A individuarla sono stati l'inglese Harold Kroto (nato nel 1939, docente all'Università del Sussex) e gli americani Richard Smalley (nato nel 1943) e Robert Curi (nato nel 1933), entrambi alla Rice University di Houston, in Texas (Usa). Il fullerene (ma ormai se ne conoscono molte varianti, per cui si parla di «fullereni», una vera e propria nuova famiglia di molecole) è costituito da 60 atomi di carbonio disposti in modo da formare una sferetta simile a un pallone da calcio. Più esattamente, non si tratta di una sferetta ma di un icosaedro troncato nel quale troviamo 60 vertici e 32 facce, 12 delle quali pentagonali e 20 esagonali. Kroto, che è un astrofisico, ha osservato per primo nel 1985 queste molecole di carbonio in una nebulosa. I suoi colleghi americani, usando un laser, sono riusciti a produrle in laboratorio. Un po' di fullerene si trova persino nel nerofumo delle candele. La scoperta del fullerene ha aggiunto una terza forma strutturata del carbonio: prima si conoscevano solo la grafite e il diamante. Non si tratta però soltanto di una curiosità chimi- L'inglese Harold Kroto co-fisica. L'Istituto Nazionale per la Fisica della Materia, con sede a Genova (telefono 010659.8710) sta sviluppando sui fullereni molte interessanti ricerche teoriche e applicative. Producendo artificialmente fullereni si è infatti visto che essi sono superconduttori a 30 gradi kelvin e che possono servire per produrre rivestimenti antiusura e autolubrificanti. Altre applicazioni potranno riguardare le batterie al litio, schermi televisivi di nuova concezione e fibre ottiche. Piero Bianucci Morì ricco e famoso a Sanremo nel dicembre 1896, all'età di 63 anni, stroncato da un'emorragia cerebrale SI celebra quest'anno il centenario della morte di Alfred Bernhard Nobel: morì ricco e famoso a Sanremo il 10 dicembre 1896, all'età di 63 anni. Lo stroncò una emorragia cerebrale, ma molti anni prima la sua attività era stata lì lì per finire sul nascere. Raccontava egli stesso che, volendo aprire una latta di nitroglicerina solidificatasi per il freddo, lo fece a colpi d'accetta, senza sapere che quella sostanza può esplodere al minimo urto o sfregamento; quella volta, per fortuna, se ne stette buona. L'aneddoto rende l'idea dell'ignoranza allora diffusa tra chi usava la nitroglicerina. Rimase un'eccezione il comportamento del chimico italiano Ascanio Sobrero, di Casale Monferrato, che nel 1847 per primo sintetizzò quel liquido oleoso rendendosi conto subito della sua pericolosità, tanto che preferì dedicarsi ad altre ricerche. Incidenti gravi capitarono ben presto. In uno di questi nel 1864 morì Emil Nobel, fratello minore d'Alfred. Il legame tra Alfred e la nitroglicerina si era ùistaurato al tempo della guerra di Crimea (1854-1856), quando suo padre, lo svedese Immanuel Nobel, inventore di professione, aveva a San Pietroburgo una fabbrica di materiale bellico per le forze armate russe. Tornato in Svezia dopo vicende sfortunate, nel 1863 Immanuel si diede a studiare la nitroglicerina insieme con il figlio Alfred. Questi, allora trentenne, inventò il detonatore, cioè una capsula piena di fulminato di mercurio, capace d'innescare l'esplosione al momento desiderato. Tuttavia la nitroglicerina continuava a esplodere anche senza innesco; appunto per questo motivo il giovane Emil morì insieme con altre quattro persone in una fabbrichetta che i Nobel aveva impiantato. Dopo quel tremendo incidente le autorità negarono il permesso di costruire un impianto nuovo, ma Alfred e suo padre ricorsero a uno stratagemma: costruirono una fabbrica galleggiante sulle acque d'un lago, e la spostavano un po' più in qua o un po' più in là a seconda delle proteste di chi abitava vicino alle sponde. Le imprese d'ingegneria civile e mineraria, senza lasciarsi spaventare dai rischi del nuovo esplosivo, si misero a usarlo sempre di più. Nel 1865 venne costruito un grosso impianto di produzione Ritratto di Alfred Nobel Il cognome in origine era Nobelius, famiglia originaria della Scania Qui sopra il casalese Ascanio Sobrero che per primo, nel 1847, sintetizzò la nitroglicerina A fianco il laboratorio di Nobel a Sanremo Il padre di Alfred, Immanuel, aveva a San Pietroburgo, a metà '800, una fabbrica di materiale bellico A fianco la casa di Stoccolma dove Alfred Nobel nacque nel 1833