LA PACE FREDDA DI YEHOSHUA

ANTEPRIMA ANTEPRIMA Abraham B. Yehoshua DIARIO DI UNA PACE FREDDA Einaudi pp. 100. L. 16.000 EBREO, ISRAELIANO, SIONISTA edizioni e/o pp. 96, L. 8.000 Abraham B. Yehoshua Scrittore per vocazione, giornalista «per forza», la forza della Storia. Abraham Yehoshua, uno dei più amati narratori d'Israele (L'amante, Cinque stagioni. Il signor Mani, Un divorzio tardivo già tradotti da Einaudi), racconta come ha maturato la scelta di scrivere per i giornali, di misurarsi, per dovere, con la politica e l'ideologia. Lo fa nella «Premessa» (che qui a fianco anticipiamo) al «Diario di una pace fredda», in cui ha raccolto e rielaborato gli articoli pubblicati su «La Stampa» tra il '94 e il '96. Di Yehoshua le edizioni e/o stanno per riproporre un breve denso saggio (risale ai primi Anni 80, era uscito da Giuntina), in cui con grande chiarezza, logica e stilistica, spiega definizioni e differenze fra tre termini troppo spesso confusi e distorti: «Ebreo, israeliano, sionista». In libreria dal 22 ottobre. DE MUSSET Amore e poesia di un figlio dell'800 RIECCO un classico dell'Ottocento. Arte e vita, poesia e dramma dell'amore: due identificazioni, due forme dell'ideale romantico nutrono le Confessioni. Octave, un libertino, cerca vanamente di colmare il vuoto d'anima votandosi a Brigitte. Una storia che riecheggia l'amore, poi naufragato, di De Musset per George Sand. A cura di Paola Decina Lombardi. Traduzione di Lucio D'Ambra. NOMI Dieci scritture al femminile Nadia Fusini Nomi Donzelli pp. 235 L 35.000 DA Karen Blixen a Marianne Moore, da Gertrude Stein a Marguerite Yourcenar, dieci donne scrittrici, dieci voci «ascoltate» da Nadia Fusini. «A me pare che nel romanzo moderno - ecco la tesi del libro - la voce emerga come voce di dentro. E sia voce di donna, nel senso che è donna chi la porta, ed è verso una donna che ci porta...». Pubblicata la prima volta nel 1986, l'opera torna con due saggi inediti e una nuova introduzione. CRICHTON La sceneggiatura di Tornado M. Crichton A.M. Martin Tornado Garzanti pp. 204. L. 18.000 TORNADO(Twister)», la sceneggiatura che ha ispirato uno fra i maggiori successi cinematografici. Una pericolosa missione scientifica: inseguire tornado e trombe d'aria per studiarli con l'ausilio delle tecnologie più moderne. La sfida coinvolge due équipe di cacciatori di tempeste. Non manca - ulteriore suspense - la storia d'amore. Traduzione di Paola Bertante. Lucio Lami La donna dell'orso Camunia pp. 170 L. 26.000 OTTOBRE RUSSO I controrivoluzionari e l'orso di Lucio Lami IL fondale è la Russia della Rivoluzione d'Ottobre. L'occhio è quello dei controrivoluzionari. Michelazzo e la moglie Adina, giramondo lui, sognatrice (un sogno che nutrirà la follia) lei. Due artisti alla conquista di un orso siberiano («Sapete voi come l'orsante / insegna all'orso ciò che potrà mai scordare?»), mentre i transfughi inseguono le ultime navi per l'Europa. QUANDO quasi quarant'anni fa cominciai a scrivere racconti, consideravo la scrittura come un'operazione complessa, difficile e comunque carica di significato e di responsabilità. Forse i numerosi «insufficiente» che ricevevo al Liceo e giustamente - per la trascuratezza stilistica dei miei temi, da un professore di lettere particolarmente pignolo, mi avevano in un certo modo intimorito. Avevo idee in abbondanza e un'immaginazione fertile, ma l'accostare le parole in modo logico e rigoroso mi sembrava particolarmente problematico. E quindi, dal momento in cui decisi che sarei stato uno scrittore, stabilii due regole alle quali attenermi: scrivere lentamente e con estrema attenzione, e dedicarmi solo alla narrativa senza lasciarmi tentare dal giornalismo. Mi sembrava che, per arrivare a una scrittura pulita e precisa, la lentezza fosse determinante; quanto alla narrativa, pensavo che fosse quello il solo modo per non dissacrare la scrittura con la rapidità e la superficialità che talvolta sono legate alle esigenze del giornalismo ma anche alla redazione di articoli di commento. Ho cercato di rispettare queste due regole. Durante i primi quindici anni di attività la mia produzione è stata relativamente scarsa: due raccolte di racconti brevi e un racconto lungo, che furono comunque accolti molto bene sia dal pubblico che dalla critica. Ma, dal punto di vista quantitativo, era assai poco. Ignorai quasi completamente il giornalismo - scrissi forse uno o due articoli, e anche quelli, di argomento letterario - forse perché la politica non mi interessava troppo; quanto ai dibattiti di natura ideologica preferivo essere un ascoltatore passivo piuttosto che un protagoni¬ sta. E venne, nel 1967, la guerra dei Sei Giorni, e con essa i problemi urgenti di ridefinizione degli obiettivi del sionismo, dei rapporti con la storia e con l'identità ebraica; per non parlare della questione dei diritti dei palestinesi a una autodeterminazione nazionale. Non era più possibile rimanere in disparte, era indispensabile intervenire per non lasciare il monopolio ideologico a posizioni nazionalistiche e, talvolta, razziste. Bisognava assolutamente evitare che si desse una giustificazione storica e politica a comportamenti disumani e perico- "DOPO LA DIASPORA"" Un impegno profetico CHE dalla collaborazione di Abraham B. Yehoshua con La Stampa, avviata nel 1993, oggi scaturisca un libro, Diario di una pace fredda, pubblicato da Einaudi, è motivo di orgoglio per questo nostro giornale. Perché Yehoshua è innanzitutto - non tema che le sue prestazioni giornalistiche possano farcelo dimenticare - un grandissimo scrittore contemporaneo. I suoi romanzi, testimoniando la società israeliana sul crinale tra storia tragica e normalità incipiente, contengono dei ritratti minuziosi di una moderna, familiare, quotidiana difficoltà del vivere che oltrepassa i confini mediorientali: sprigiona verità fin nelle nostre case, nella nostra vita globalmente uniformata. Yehoshua si definisce come «ebreo post-diasporico» che in quanto tale si identifica completamente con il Paese in cui vive, nel suo caso Israele. Questo spiega perché - in apparente contraddizione con l'apoliticità del suo universo letterario - egli senta il bisogno di intervenire in forma militante sulla realtà, come fa con questo Diario di una pace fredda. Di tale impegno ha fornito recentemente a Claudia Hassan una bella spiegazione: «Gli scrittori possono esprimere e trasmettere molte cose che i politici non solo non possono dire, ma non possono neanche immaginare». L'intuito, la sensibilità e la stessa visionarietà dell'intellettuale, talvolta possono davvero - ci rivela Yehoshua - risultare decisive nel sospingere una società afflitta da problemi insolubili a osare l'impossibile. Gad Lerner losi. In un primo tempo mi espressi attraverso interviste e conferenze, ma ben presto mi resi conto che, se volevo che le mie parole avessero un'eco più ampia, dovevo rinuncia¬ re ai miei principi e scrivere degli articoli di natura politica e ideologica. Non fu facile. Mi sembrava di perdere tempo: invece di migliorare un dialogo tra due personaggi, o approfondire una situazione psico- Arafat, re Hussein, Clinton, Netanyahu a Washington Qui sotto Shimon Peres logica in un romanzo, dovevo concentrarmi su un articolo che sarebbe finito, nel giro di qualche giorno al massimo, nel grande dimenticatoio della chiacchiera contingente. Ma, d'altra parte, la rabbia politica che andavo accumulando mi impediva di dedicarmi serenamente alla creazione letteraria; sfogarmi attraverso la scrittura giornalistica era quindi diventato addirittura una necessità. Acquisii lentamente la capacità di scrivere di politica in modo più rapido ed efficace: l'uso del computer mi aiutò certamente in questo senso. Ma conservavo la sensazione che, in quel modo, situazioni complesse venissero semplificate, e che realtà di difficile comprensione fossero descritte in maniera troppo schematica. Potevamo sforzarci di utilizzare parole efficaci, di allestire frasi convincenti; la realtà non si Giornalista per dovere contro il nazionalismo e, talvolta, il razzismo: «Non era più possibile rimanere in disparte» lasciava ingabbiare da quelle povere pagine. Fu così che per venticmque anni la maggior parte degli articoli che redassi - non molti per la verità - fu di natura ideologica, che rifuggiva quasi sempre dalla contingenza immediata. All'inizio del processo di pace con i palestinesi, nel settembre del 1993, pensai che un mio vecchio sogno si stava realizzando, e che non avevo più bisogno di impegnarmi in una polemica da oppositore: il governo stesso incarnava i miei ideali, e parlava a nome mio e dei miei compagni con una voce più chiara e forte della nostra. Capii ben presto che si trattava di una dolce illusione. La base etica di quegli sviluppi politici non era ancora ben chiara, né a una parte cospicua della popolazione israeliana, né al pubblico, ebraico e non, di altri Paesi, che seguiva le nostre vicende con un interesse ben superiore al loro peso reale in ambito internazionale. [...] Credo che il punto di vista degli scrittori sia spesso interessante, anche se è talvolta fortemente soggettivo; non foss'altro che per il loro confronto quotidiano con la lingua nazionale e per lo sforzo continuo di penetrare la realtà umana del proprio Paese. E poi, anche se ciò può apparire strano, io credo negli insegnamenti della storia piii dei miei stessi amici storici. Non tanto perché la storia si ripeta, ma perché essa può rivelare dei modelli profondi attraverso i quali è possibile comprendere, almeno in parte, la realtà contemporanea, con i suoi drammi e le sue tensioni. La «normalizzazione» del popolo ebraico proclamata cent'anni fa dal fondatore del sionismo politico Theodor Herzl sembra essere riuscita in modo soddisfacente. Più di un terzo dell'urterà popolazione ebraica risiede in Israele, che sta conoscendo un progresso economico e culturale certamente notevole; il processo di pace con tutte le popolazioni degli Stati vicini sembra inoltre ben avviato. Ma non possiamo ignorare che operano anche delle forze contrarie a questa normalizzazione, vista come uno scadimento della particolarità del nostro popolo e, in un certo senso, come la perdita della sua identità. I risultati delle ultime elezioni, per esempio, sono tra l'altro il sintomo di un'integrazione imperfetta di ampi settori della popolazione in questo processo di normalizzazione; si tratta comunque di resistenze che rappresentano mi tentativo di regressione. Abraham B. Yehoshua

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