«Non ho più diritto di parola»

«Non ho più diritto di parola» «Non ho più diritto di parola» «Taccio, ma sono contro le carriere separate» LO SFOGO DEL PROCURATORE PMILANO ROCURATORE Borrelli, si sente isolato? «Isolato, io? No, per niente. Non mi sento isolato né dal pool né dai magistrati della procura di Milano e neppure dalla grande maggioranza dei magistrati italiani. Rilevo, semmai, la difficoltà crescente di comunicare con il mondo esterno». Non arretra di un solo millimetro, Francesco Saverio Borrelli. Il procuratore capo di Milano arriva nel suo ufficio, al quarto piano del Palazzo di Giustizia. Incontri, telefonate, la routine di ogni mattina in attesa di sapere da Roma l'esito della votazione della commissione incarichi direttivi del Csm, chiamata a proporre Unuovo procuratore nazionale antimafia. La prestigiosa poltrona alla quale aspirano, oltre a Borselli, i procuratori capi Piero Luigi Vigna e Giovanni Tinebra. L'alto magistrato aspetta ma non si nasconde che il favorito è Vigna (raccoglierà infatti tre voti, contro due a Borrelli e uno a Tinebra), tanto che tiene a sottolineare: «Non contesto minimamente la preparazione di Vigna e la sua piena idoneità a guidare la Dna. Quanto a me non ho nessuna ambizione personale da coltivare, ho solo messo a disposizione la mia esperienza professionale. Eppure anche in questo caso mi sono visto attribuire sui giornali intenzioni che non ho mai espresso. Quali? Al Csm, giovedì scorso, non ho mai detto che preferirei chiudere la mia carriera come presidente della corte d'appello». Roma e i suoi palazzi sono però sempre più lontani. Il tempo di un caffè con il procuratore aggiunto Gerardo D'Ambrosio per una prima, veloce analisi delle polemiche sollevate dalla sua ultima sortita non solo contro la separazione delle carriere in magistratura ma anche contro la separazione delle funzioni («E' uno slogan e io detesto gli slogan»). Sul tavolo, ancora intatta, la rassegna stampa della giornata: titoli dedicati allo «scontro» tra Borrelli e D'Ambrosio (più possibilista sul progetto targato pds) e sulla spaccatura nel pool; articoli con una raffica di critiche, dal Polo come daU'Ulivo, a Francesco Saverio Borrelli. «Non mi sento isolato». Solo più tardi Borrelli, finita la lettura dei giornali, detterà un comunicato dai toni sdegnati: «Prendo atto di essere un cittadino italiano al quale non viene riconosciuto il diritto di esprimere le proprie opinioni. Prego i mezzi d'informazione di togliere l'assedio al mio ufficio e alla mia persona. Questa è la mia ultima sortita e mi chiudo nel silenzio che è la condizione a me più congeniale». Restano così sul taccuino le ultime riflessioni di Borrelli, prima della Grande Ira. Per cominciare una serie di precisazioni. «Non c'è nessuna frattura tra me e D'Ambrosio. Solo sfumature di giudizi, L'unica differenza vera è che D'Ambrosio ha letto il progetto di legge del pds e vi ha trovato alcuni elementi apprezzabili. Non so, non conosco quel testo e di conseguen za non ho espresso nessun giudizio su quel preciso progetto». Ma allora, procuratore, cosa è successo, lunedì, alla cerimonia in Politecnico? «Mi è stata posta una domanda su un'ipotesi binaria - se parazione delle carriere e separazioni delle funzioni -: io ho detto ciò che penso. Non da oggi», spiega Borrelli, 66 anni, alle spalle 20 anni di magistratura giudicante. «E, per favore, parlate di magistratura re quirente, non mquirente, termine che non uso mai». In mano, il procuratore capo ha un foglio, la copia di un fax, datato 3 dicembre '92, quello che secondo le cronache Borrelli avrebbe inviato a Ciriaco De Mita, allora presidente della Bicamerale, chiedendo che non venissero separate le carriere dei magistrati. E' l'appello che il 26 aprile '94 sarà poi sottoscritto da 1100 magistrati di tutta Italia: si apre con la firma dell'allora procuratore generale di Milano Giulio Catelani e di 17 sostituti procuratori generali, segue quella di Borrelli e dei pm; del capo della procura presso la pretura e della procura della Repubblica per i minori. Paternità a parte, Borrelli ancora oggi ripropone il punto due dell'appello: «La possibilità per i magistrati di passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e vice¬ versa si è di fatto rivelata un'occasione di arricchimento professionale e ha consentito al pm italiano di mantenersi radicato nella cultura della giurisdizione». Incalza il procuratore capo: «Per un magistrato cambiare funzioni fa bene non solo professionalmente ma anche culturalmente e moralmente. Quando usiamo l'espressione "cultura della legislazione" è perché intravediamo il rischio di un pubblico ministero che affronta il processo con lo spirito di chi deve vincere una sfida, non di raggiungere la verità rispettando i diritti della difesa. Altro che paletti! Questo scambio già oggi difficile an¬ drebbe incentivato. Senza tenere conto delle contraddizioni». Quali, dottor Borrelli, quali contraddizioni? «Si dubita che la comunanza di ruolo e carriere possa abbassare la sogb'a critica di un magistrato? E allora perché, visto che esistono tre gradi di giudizio, non si separano i magistrati anche seguendo questa logica? E ancora. Si teorizza sui danni dell'intreccio tra pubblico ministero e polizia giudiziaria e poi si studia il modo di compattare sempre più il pm verso la polizia e i carabinieri, con tutto il rispetto per polizia e carabinieri». Punto e a capo. Le ultime riflessioni di Francesco Saverio Borrelli sono tutte dedicate alla sua audizione al Csm, ai suoi progetti su come sviluppare tutte le potenzialità della Dna, puntando «sia sulle funzioni che esistono testualmente sia su quelle virtuali». Biblioteche e banche dati con trasferimento d'mformazioni tra Dna e procure distrettuali perché, secondo Borrelli, anche nella lotta alla mafia si dovrebbe anteporre la tecnologia all'ideologia. Risultato: una frase filtrata sui giornali, come se quell'incarico non gli mteressasse. Borrelli come D'Alema? In piena incomunicabilità, almeno in questo il leader pidiessino e quello del pool di Mani pulite sembrano trovare un accordo. Chiara Berta di Argentine «Non mi sento isolato La grande maggioranza dei magistrati la pensa come me» «Antimafia? Non contesto Vigna, ma non ho mai detto che voglio restare a Milano» p Foto grande da sinistra Colombo, Greco, Borrelli e la Boccassini Qui sopra D'Ambrosio

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