L'Occidente visto dall'Islam di Aldo Cazzullo
Incontro alla Fondazione Agnelli Incontro alla Fondazione Agnelli L'Occidente visto dall'Islam "7^1 LI americani hanno un | 1 tale rispetto per i diritti I umani che concedono ai l¥ condannati a morte di " I scegliere le modalità dell'esecuzione». Così scriveva (senza ironia) Louis Awad, studente copto che trascorse negli Stati Uniti tre anni, prima della crisi del '29, e ne trasse una delle più note relazioni di viaggio di un orientale in America. Com'è cambiata da allora l'immagine dell'Occidente nel mondo arabo-musulmano? In che modo le élites islamiche percepiscono i nostri valori e i nostri comportamenti? Quali pregiudizi alimentano l'atteggiamento ostile degli integralisti verso la modernità? Se ne parla a Torino al convegno internazionale di tre giorni organizzato dalla Fondazione Giovanni Agnelli e aperto ieri dal direttore Marcello Pacini, «Le visioni dell'Occidente nel mondo arabo: flussi culturali e stereotipi». Come parlano di noi i predicatori delle moschee del Cairo? Non così male, sostiene Saàdia Radi, del Cedej (Centro di studi economici, giuridici e sociali) del Cairo. Può accadere che le omelie (e le cassette registrate da esportare nel mondo) degli ulema facciano riferimento ai «valori occidentali»: il rispetto dell'uomo e del suo lavoro, lo sviluppo scientifico, l'organizzazione sociale, l'amministrazione della giustizia, e anche «la garanzia della parola data». L'Occidente è sentito però come radicalmente altro: «Noi siamo musulmani, loro sono cristiani, e per giunta cattivi cristiani», è la riflessione comune. «I predicatori - spiega Radi vi rimproverano "l'anarchia dei costumi" o "la devianza sessuale", che esprimono in questi termini: le ragazze e i ragazzi hanno relazioni sessuali al di fuori del matrimonio, la donna può frequentare un'altra donna e l'uomo un altro uomo, i figli da piccoli la¬ sciano i genitori e da grandi li chiudono in una casa di riposo». Soprattutto, agli occhi degli egiziani gli occidentali sono «liberi». «La nozione di libertà è ambivalente - nota Radi -. E' apprezzata in alcuni campi, come la libertà d'espressione e la libertà politica, ma demonizzata quando invade il territorio dell'etica. Allora diviene sinonimo di anarchia e dissolutezza, contro le quali l'Islam deve erigere la barriera dei precetti coranici: la preghiera, il digiuno, l'elemosina». Se la Francia di Napoleone III parve a Idriss el Amraoui, ambasciatore del sultano del Marocco, il Paese delle «donne discinte» (le danzatrici dell'Opera) e delle «donne di Dio» (le suore degli Invalides); se Casablanca sembrò al giovane marocchino cresciuto a Manchester, Abdel Majid Ben Jalloun, il luogo dell'anti-modernità; se gli Usa furono per Louis Awad «la terra dell'oro e della libertà», come ha spiegato Alain Roussillon dell'Irmc (Istituto di ricerche sul Marocco contemporaneo) di Rabat, a Sayyid O.otb, l'ideologo dei Fratelli Musulmani che visse negli Stati Uniti tra il 1948 e il '50, l'America parve invece un «grande atelier», un coacervo di vantaggi - la produttività, la disciplina, la scienza, la tecnologia - che gli arabi avrebbero potuto copiare, a patto di depurarli dall'«ignoranza», dal materialismo, dall'a-religiosità. Comincia allora il lungo cammino del pensiero anti-occidentale, che ha partorito la rivolta integralista, ma non significa automaticamente denigrazione della nostra civiltà. Come Todorov aveva intuito che le culture interagiscono al livello più basso, scambiandosi gli aspetti prosaici e superficiali, così un ulema del Cairo ha ammonito i fedeli: «Gli occidentali esportano quel che hanno di male, e tengono per sé quel che hanno di buono». Aldo Cazzullo
Persone citate: Abdel Majid Ben Jalloun, Alain Roussillon, Louis Awad, Marcello Pacini, Napoleone Iii, Todorov
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