Speculazione rìschio per la moneta unica di Alfredo Recanatesi

Speculazione, rìschio per la moneta unica Speculazione, rìschio per la moneta unica L rientro della lira nello Sme e la permanenza in esso per almeno due anni è una delle condizioni richieste per partecipare al processo di unificazione monetaria europea. Come molte altre di queste condizioni, fu fissata al tempo dei trattati di Maastricht per esprimere il concetto, per altro ovvio, che, per fondersi insieme ad altre nella istituenda moneta unica, ogni moneta avrebbe dovuto dare preventiva prova di un cambio stabile per un periodo di tempo congruo che fu fissato, appunto, in due anni. Le dure lezioni del '92 e del '93 erano di là da venire, ma poi vennero; e dimostrarono che la forza della speculazione valutaria ha superato, e di gran lunga, quella che le banche centrali e i governi hanno di controllarla. Le conseguenze non sono state da poco. Fino ad allora, infatti, la speculazione era stata tenuta a bada dalla forza schiacciante che le banche centrah avevano rispetto al mercato. A posizioni invertite, invece, la speculazione può essere controllata soltanto inibendola con una maggiore rischiosità, ossia esponendola alla eventualità di fluttuazioni almeno potenzialmente ampie e sempre reversibui (vedi il marco che in quattro anni è passato da 765 a 1275 tire per poi ridiscendere attorno alle 1000). In buona sostanza, oggi meno sono i riferimenti e le certezze che si offrono al mercato, tanto più questo sarà ordinato e sereno. Non inganni l'olimpica stabilità esistente tra le monete che attualmente partecipano allo Sme. Questo, infatti, è composto dalla Germania che ne costituisce il paradigma, dai Paesi i cui sistemi economici sono di fatto annessi a quello tedesco, e dalla Francia, la cui uscita fu impedita ampliando la fascia di osculazione al 30% e, come se ciò non bastasse, dal patto segreto, reso volutamente notorio, di un impegno incondizionato ed illimitato della Germania a favore della tenuta del franco. E allora, la clausola dell'appartenenza allo Sme, ovvia quando fu concepita, oggi non solo non è più ovvia, ma addirittura controproducente per Paesi, come l'Italia e la Spagna, che sono candidati a partecipare alla moneta unica, ma non hanno sistemi economici così legati a quello tedesco come lo sono queUo belga o quello olandese e non beneficiano di un sostegno anche lontanamente paragonabile a quello che per ovvi motivi politici è stato concesso alla Francia. Ancora più esplicitamente: oggi io Sme non è altro che la naturale area del marco più la Francia che è in condizione di aderirvi in virtù di un accordo meramente politico. Venendo al nostro caso, la tira, ridimensionate le motivazioni extraeconomiche che tanto a lungo e tanto violentemente l'hanno agitata, ha ritrovato un suo equilibrio. La quotazione attuale è coerente con i parametri di valutazione che a questo scopo possono essere usati - l'equivalenza del potere d'acquisto, ad esempio - e promette di poter essere stabilmente sostenuta da una bilancia corrente con l'estero fortemente attiva e da un indebitamento netto verso l'estero che conseguentemente si va rapidamente annullando. In atto e in prospettiva, quindi, la condizione sostanziale giustamente richiesta per la «fusione» con le altre monete europee può considerarsi pienamente assolta. Ma la tetragona ed ottusa chiave nella quale lo spirito dei trattati ha finito per essere interpretato bada più alla forma che alla sostanza, e la forma esige un rientro nello Sme, con tanto di determinazione della parità centrale. Su quest'ultima si concentrano attenzione, interessi, ed anche semplice curiosità, ma non è certo questo il punto determinante. Non lo è perché in quattro anni il cambio tra marco e lira è passato da 765 a 1275 per poi ridiscendere a circa mille. A quest'ultimo bvello la svalutazione è del 30%. In tre di questi quattro anni il costo del lavoro è cresciuto meno dell'inflazione. Se, ciò nondimeno, l'attuale quotazione della lira già suscita preoccupazioni, e se si attribuisce tanta rilevanza a cinquanta lire in più o in meno per la determinazione di un cambio che poi - dobbiamo presumere - non potrà più essera modificato, è evidente che tanto dibattito su questa minima differenza - il 5% - nasconde l'esistenza di ben altri problemi di competitività che quelle eventuali cinquanta lire non possono certo risolvere. I rischi dell'operazione, dunque, non sono nella nuova parità che, domani o tra un anno, un'economia prevalentemente impostata sulla competitività di prezzo, e che oggi già soffre perché la svalutazione si è ridimensionata a «solo» il 30%, durerà comunque fatica a sostenere. Sono piuttosto nel ripristino di riferimenti certi per la speculazione in un periodo durante il quale l'alternanza di pareri ed oroscopi, domestici e stranieri, sul futuro dell'Itaba - «ce la fa», «non ce la fa» - finirà per eccitare la speculazione e per scuotere il mercato con ampiezza sempre maggiore. Il divario tra sostanza e forma delle condizioni per partecipare alla moneta unica rischia così di generare un ulteriore paradosso imponendo alla lira di rientrare nello Sme quando, rimanendone fuori, le prospettive di stabihtà del suo cambio sarebbero sicuramente maggiori. Alfredo Recanatesi esj

Luoghi citati: Francia, Germania, Italia, Spagna