Un messaggio al suo clan «Basta guerra allo Stato» di Francesco La Licata

=1 ANALISI Un messaggio al suo clan «Basta guerra allo Stato» E, impresa davvero difficile immaginare Benedetto «Nitto» Santapaola che si sforza di odiare l'assassino della moglie «senza riuscirci». Vero è che viviamo un momento di buonismo, tanto mieloso quanto fasullo, ma che questo vezzo possa aver contagiato anche l'ex capomafia di Catania e l'intera consorteria dei «bravi ragazzi» è cosa francamente improbabile. Eppure, dalla sua cella di isolamento, «Nitto» scrive a chiare lettere che perdona il finto pentito e assassino. Perché lo fa? Santapaola è un mafioso di lungo corso. La sua «cultura», la sua origine, lo collocano - nel panorama di Cosa nostra - in una posizione, diciamo, moderata. Lui è il boss che per primo si oppose alla linea politica stragista di Totò Riina. Disse chiaramente che riteneva una follia la guerra contro lo Stato e per questo fu odiato dal «padrino», fino al punto da rischiare la vita. Don Totò, infatti, aveva passato al cognato l'incarico di chiudere la «pratica Santapaola». «Nitto» è anche espressione della mafia catanese, che è cosa diversa da quella palermitana: tanto bizantina e «rintorcinata» quest'ultima, quanto naive, diretta e anarcoide l'altra. Un esempio? Mentre a Palermo non si spara più da anni, perché la strategia di Cosa nostra è cambiata e punta alla lotta incruenta e politica - tentando cioè le carte della delegittimazione dei pentiti e l'abolizione o la modifica (leggi vanificazione) del carcere duro -, a Catania è stato un ininterrotto spargimento di sangue. E la forzata assenza dalla piazza di un capo come Santapaola forse ne è causa principale. A Catania si avverte un certo vuoto di comando, a Palermo, invece, resiste la tradizione del controllo «anche coi boss in carcere». Ecco, in questo senso la lettera di «Nitto 0 cacciatore» è il gesto di un capo che cerca di rimettere ordine, di aprire gli occhi a quelli che stanno fuori dalle gabbie, avvertendoli che le vendette, i morti, il sangue - almeno in questo momento storico - sono controproducenti. La linea scelta da Cosa nostra è quella di andare sott'acqua e aspettare tempi migliori. I catanesi sono invece rimasti molto I irrequieti e hanno contribuito a I tenere accesi i riflettori su Cosa Giovanni Brusca nostra. E' un caso che Santapaola abbia sentito la necessità di intervenire pubblicamente - proprio come ha fatto ieri - con una lettere di condanna per l'assassinio del penalista Serafino Fama? Anche in quell'occasione fece ricorso a tutta l'efficacia della semantica mafiosa, riaffermando «l'ideologia delle regole», la moderazione, il timor di Dio. E' un capolavoro di ambiguità, la lettera di Santapaola. Perdona Ferone che gli ha ucciso la moglie, ma lo indica come il protagonista non di una vendetta irrazionale bensì di un «lucido programma», insinuando così il sospetto che il finto pentito possa essere stato utilizzato per torbide manovre non estranee alle stesse istituzioni. E lo invita persino a pentirsi. Ma «cristianamente», visto che un capomafia non può farsi portavoce di una esplicita istigazione alla «infamità». No, deve pentirsi «cristianamente» e dire «tutta la verità», spiegare perché «dopo quattro chiacchiere» fu messo in libertà. La verità (inespressa) di Santapaola è che Ferone fu usato addirittura da pezzi i dello Stato. E qui la lettera è perfettamente in linea con la strategia di Cosa nostra, che cerca una spon- da politica per affossare le norme sul carcere differenziato e la legge sui pentiti. E quando si rivolge ai familiari di Ferone, la lettera assume la connotazione di un vero e proprio dialogo cifrato, ad uso interno. Tocca le corde care ai mafiosi: non si sfiorano le signore e, quindi, «donne sfortunate state tranquille perché sono pochissimi quelli che pensano e agiscono come Ferone». Poi ricorda come «io e i miei scorrazzavamo nella libera Catania», con le «caserme e le procure senza scorte». Eccolo il messaggio: prima della guerra allo Stato eravamo felici, torniamo come allora, quando Santapaola era uno stimato commerciante d'auto e all'inaugurazione dei suoi autosaloni poteva invitare questori, prefetti e giudici. Ma cosa c'entra cól messaggio, il perdono a Ferone? Da comunicatore istintivo, il mafioso ha usato un'esca sicuramente appetibile dai mezzi d'informazione. Che anche ieri hanno abboccato. Francesco La Licata ata | Giovanni Brusca

Luoghi citati: Catania, Palermo