Tokyo come Roma transizione a metà

F OSSERVATORIO Tokyo come Roma transizione a metà L partito liberaldemocratico ha vinto largamente le elezioni giapponesi, ed è come se, in Italia, una democrazia cristiana rediviva avesse sfiorato la maggioranza assoluta, con una sinistra ridotta al lumicino, e un'opposizione composta dalle forze di centrodestra. No, non è facile, in questo momento, fare un paragone tra il nostro Paese e il lontano arcipelago. Eppure, appena al di là delle apparenze, il paragone, più volte fatto in passato da osservatori e politologi, continua a reggere. Come l'Italia, il Giappone è stato per lunghi decenni un sistema «bloccato», senza una possibilità concreta di alternativa, e ora il rinnovamento, in entrambi i Paesi, è tale solo a metà. Italia e Giappone sono, con la Germania, i grandi sconfitti della seconda guerra mondiale. E, con la Germania, sono stati protagonisti, quale più e quale meno, di una straordinaria ricostruzione economica. Ma, a differenza dalla Germania, dove si è rapidamente imposta la regola occidentale del bipolarismo (se non proprio di un perfetto bipartitismo), con relativa alternanza al potere, in Italia e in Giappone si è subito creata, politicamente, una situazione di stallo. I due partiti di maggioranza (la de a Roma e il pld a Tokyo) sono sempre rimasti al governo e quelli d'opposizione (il pei a Roma, i socialisti neutralisti e antiamericani a Tokyo) non hanno mai saputo o potuto proporsi come una credibile alternativa. In entrambi i casi, se alternanza c'è stata, era tra le diverse correnti del partito maggiore, alcune delle quali sono arrivate ad essere partiti nel partito, quindi con proprie esigenze organizzative e finanziarie. Da qui, anche da qui, una dilagante commistione tra politica e affari, un clientelismo che ha gonfiato a dismisura il bilancio statale, un'attenzione quasi esclusiva al potere Jer il potere, lasciando a una urocrazia sempre più estesa la gestione effettiva della cosa pubblica. Tutto questo è durato fino a tutti gli Anni Ottanta, in pratica fino al crollo del comunismo e dell'Urss. A quel punto è venuta meno la motivazione «internazionale» del voto al partito filo-occidentale, mentre la I sinistra avviava, per necessità I o per convinzione, una re visio- ne ideologica e strategica. Il risultato è stato, in Giappone, l'estromissione del pld dal governo, dopo le elezioni del 1993, mentre in Italia, l'anno dopo, c'era la clamorosa novità della vittoria del Polo di Berlusconi. Ma si è trattato, in entrambi i casi, di svolte effimere, per l'eterogeneità delle coalizioni vincenti. Il pld, pure ■ sfrondato di parecchi rami, è tornato presto al governo, ora con gli ex avversari socialisti, pagando il prezzo di cedere il posto di primo ministro, ma poi riconquistandolo con Hashimoto. E in Italia, si sa, il maggior troncone della ex de, il partito popolare, si è a sua volta alleato con l'ex pei, ora pds, tornando al governo nell'aprile di quest'anno, anche se in una posizione di debolezza, rispetto ai «colleghi» di Tokyo. Ecco, questa è la differenza fondamentale: con le elezioni anticipate, Hashimoto, il Prodi nipponico, ha portato il proprio partito sulla soglia della maggioranza assoluta. Però è vero che non l'ha varcata, e dovrà pur sempre rinegoziare un accordo di coalizione. Sul fronte opposto, quello del centrodestra, i problemi sono ovviamente maggiori, grazie anche a una legge elettorale, che, nuova per il Giappone, è ormai vecchia per l'Italia (il «mix» uninomin ale-proporzionale, che non evita la dispersione delle forze e ribadisce la necessità di alleanze, spesso difficili). E insomma resta, a Tokyo come a Roma, sia pure in circostanze ovviamente diverse, molto più favorevoli a Hashimoto che a Prodi, la questione generale di una transizione a metà. Compiere il secondo tratto significa affrontare seri problemi istituzionali e politici, recuperare la fiducia piena dei cittadini nella gestione democratica dello Stato. U vero allarme: 41 giapponesi su cento si sono astenuti dal voto. AMo Rizzo tzo^j

Persone citate: Berlusconi, Hashimoto, Prodi