«Liberiamo le istituzioni dai cialtroni»
«Liberiamo le istituzioni dai cialtroni» «Liberiamo le istituzioni dai cialtroni» BERGAMO. Tra Antonio Di Pietro e la componente verde del governo Prodi le polemiche verbali, scatenate dal progetto della variante di valico sull'autostrada Bologna-Firenze, non sembrano destinate a finire mai, «Non è detto che chi ha la responsabilità di costruire una strada sia per forza un cementificatore - ha detto ieri il ministro dei Lavori pubblici, parlando alla platea di un convegno per giovani costruttori che si è svolto a Bergamo -. A volte, chi ha la responsabilità di costruire una strada può anche essere un ambientalista...». Il ministro, come al solito, non ha risparmiato la vis polemica: «Per finire in prima pagina - ha detto, riferendosi ai suoi detrattori - basta criticare Di Pietro. Sui giornali si sono dedicati in molti al tiro al piccione». Di Pietro ha poi ribadito che «occorre passare da Mani pulite a mani libere». Libere anche di costruire, quando è necessario, ha lasciato capire. Anche per «ridare alla gente la fiducia nelle istituzioni», ha proseguito l'ex leader del pool di Milano, «istituzioni che comunque vanno liberate dai cialtroni...», [f. e] Il leader della Lega Nord Umberto Bossi Sono Bossi, Maroni, Calderoli Caparini, Borghezio, Martinelli Impedirono agli agenti della Digos di Verona di entrare ore di registrazione, tra Rai, Mediaset e tv private. Poi ha sentito i funzionari di polizia e interrogato i giornalisti presenti quel pomeriggio nella sede di via Bellerio. O almeno una parte di essi. Proprio sul versante giornalisti c'è da registrare la trasmissione degli atti alla procura presso il tribunale per la posizione del giornalista Gigi Moncalvo. In una trasmissione su «Antenna 3», Moncalvo avrebbe detto che la Lega era stata aggredita. E adesso per lui c'è il rischio di una incriminazione per diffamazione. «Sì, che siamo stati aggrediti. E noi abbiamo solo fatto resistenza passiva, per cercare di difendere i nostri diritti costituzionali. Se fosse il caso lo farei anche oggi», ripete Roberto Calderoli. Anche lui, quel giorno, fece cordone per bloccare gli uomini della Digos, mandati dal magistrato veronese Guido Papalia, titolare di un'inchiesta sulle camicie verdi. Gli agenti avrebbero dovuto perquisire un ufficio di un dirigente della Lega non parlamentare ma i leghisti sostenevano che si trattava dell'ufficio di Bobo Maroni. Deputato, e quindi tutelato dalla leg¬ ge sulle autorizzazioni a procedere. Fu un tira e molla fatto di spintoni, muro contro muro, urla, pugni, colpi bassi e vetri infranti. Tanto che al termine Umberto Bossi - due pugni arrivarono anche a lui - si presentò in camicia verde, in perfetta tenuta da Comitato per la liberazione della Padania. Dicendo: «Se hanno paura di questa, la metterò ogni giorno». Adesso ci sarà il processo. E per la prima volta i leghisti potranno dire la loro. Non lo hanno fatto in sede istruttoria. «Per non rallentare le indagini così veloci», ironizza Calderoli. Che processo vogliano i parlamentari della Lega Nord è presto detto. Roberto Maroni non lo nasconde: «Chiederemo che si riunisca questo procedimento con quello nato in seguito alla nostra denuncia contro i poliziotti che fecero irruzione nella nostra sede». E ancora: ((Abbiamo denunciato i poliziotti per 16 reati diversi: dalla violazione di domicilio all'attentato contro i diritti di un parlamentare, dalla violenza alle lesioni personali». Fabio Potetti
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