TRA GIUDICI E POLITICI di Gad Lerner
TRA GIUDICI E POLITICI TRA GIUDICI E POLITICI strato particolarmente esposto non solo per l'importanza delle inchieste che passano per le sue mani, ma anche per il loro notevole, inevitabile potenziale di interferenza politica, da qualche tempo lui intrapreso un'opera di mediazione diplomatica che lo porta spesso in visita nei diversi palazzi del potere romano. Non si svela peraltro alcun segreto evocando il suo prolungato sodalizio professionale e umano con l'attuale presidentedelia Camera. Va dunque esaminata con attenzione la sua pur inusuale proposta. Cioè che si predisponga «una sede istituzionale nella quale magistrati, politici, operatori del settore discutano liberamente in maniera organizzata». Si tratta a prima vista di una proposta che dovrebbe far sobbalzare sulla sedia chiunque creda nel principio democratico della separazione dei poteri: perché mai i magistrati dovrebbero sedere allo stesso tavolo dei politici, cioè di coloro che per mandato popolare, ottenuto attraverso il libero voto, sono gli unici titolari del diritto di riformare le leggi del Paese anche in materia di giustizia? Riconosciamo di essere in presenza dell'ennesima anomalia italiana. Eppure ci chiediamo - con brutale semplificazione - se di fronte al pericolo di un conflitto aperto non sia comunque preferibile predisporre un canale di trattativa. Ci si consenta un paragone forzato: anche in materia di politica economica più volte il potere politico ricorre al metodo della concertazione, cioè alla realizzazione di accordi vincolanti che scaturiscono dal confronto con le diverse parti sociali. Orbene, il potere giudiziario non può certo essere paragonato ad una parte sociale. Ma la situazione in cui versa il Paese da ormai cinque anni renderebbe non solo impensabile, ma sostanzialmente ingiusto che decisioni in materia di giustizia e lotta alla corruzione venissero assunte dal potere politico prescindendo dal parere della magistratura, se non addirittura contrapponendosi alle sue componenti che si sono distinte nel disvelamento di Tangentopoli. 11 quadro ormai dovrebbe essere sufficientemente chiaro a entrambe le parti in causa. I giudici sanno che la corruzione politica ed economica non verrà mai estirpata per intero nelle sole aule dei tribunali, se non altro perché migliaia di imputati - come Pacini Battaglia - tenderanno a rivelare solo lo stretto indispensabile e a coinvolgere semmai i propri avversari. 1 politici a loro volta sanno che nessuna stabilità può realisticamente fondarsi su di una repressione delle procure più attive, tanto più in un contesto di corruzione persistente. Consideriamo una fortuna che cjuesto tavolo di trattativa possa essere presieduto da un governo con piena titolarità politica, essendo conclusa la stagione dei tecnici. Ma il ritorno della politica alla guida del Paese non può considerarsi scontato sol perché vi si sono tenute il 21 aprile delle elezioni democratiche. Tale primato deve convalidarsi attraverso la prova dei fatti, primo fra tutti il superamento dell'attuale conflitto tra le diverse articolazioni dello Stato. Con la mediazione, non con le rivendicazioni stizzite, la politica può acquisire credibilità. Altrimenti? Altrimenti il pericolo è che si enfatizzino fenomeni che già passano sotto i nostri occhi in diversi Paesi europei. Il Belgio intero domani scende in piazza inneggiando al peraltro schivo giudice Connerotte, protagonista di inchieste sulla corruzione e da ultimo sui delitti dei pedofili. In Italia la variabile Di Pietro resta sempre lì, sullo sfondo della crisi politica. Dalla sfiducia crescente nei confronti di tutti, potrebbe scaturire la fiducia cieca in uno solo, nell'uomo forte. Gad Lerner
Persone citate: Di Pietro, Pacini Battaglia
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