Kabul, la pace di Allah ha fermato i massacri

Kabul, la pace di Allah ha fermato i massacri Kabul, la pace di Allah ha fermato i massacri KABUL DAL NOSTRO INVIATO La via Maiwand era la più bella di Kabul. Larga come nessun'altra, diritta, rigurgitante di tappeti, fiancheggiante il Bazar Centrale Chalir Chatta, e la più grande, la più bella moschea di Kabul, Pul-i-Kishti. Era la più elegante e pittoresca insieme, con i barbieri a radere i clienti sui marciapiedi, i caffè sempre pieni di gente a oziare dai balconcini al primo piano, emporio di ogni ammennicolo colorato e immaginabile, con i negozi di seta dei sikh inturbantati e le lampade a olio degli hazarà e tutto quanto serviva per vivere. Era, perché la via Maiwand non c'è più. Una furia pazzesca, inspiegabile, l'ha spazzata via, rasa al suolo. Come ha sventrato il bazar, la grande moschea. Come ha cancellato l'intero quartiere sciita, la residenza estiva del re, il palazzo di Darulaman, il mausoleo funebre di Nadir Khan che s'innalza sulla collina di fronte alla fortezza di Baia Hissar, distrutta anch'essa. Ma i Taleban non c'entrano. Queste immense distruzioni, in cui si dice siano perite 60 mila persone, sono opera dei devoti mujaheddin che fecero la guerra santa contro i russi e che, vintala, l'hanno continuata tra di loro contendendosi quartiere per quartiere, casa per casa, centimetro per centimetro, incuranti della gente che ci viveva, massacrandosi e uccidendo. E, dopo ogni temporanea vittoria, a turno, i signori della guerra, coloro che l'Occidente intero aveva esaltato come eroi della libertà e dell'indipendenza, i Massud, Hekmatiar, Rabbani, Khales, Hazari, i capi dei sette «partiti» di Peshawar, lasciavano le briglie sul collo dei loro «comandanti», affinché saccheggiassero, violassero, uccidessero, distruggessero ancora. Sbalordisce l'entità delle distruzioni, l'innumerevole quantità di bombe impiegate, di raffi- che di mitraglia che hanno crivellato le facciate di ogni edificio, anche dei più lontani e periferici. Si può capire che i mujaheddin di chissà quali comandanti abbiano crivellato con centinaia di colpi di bazooka il gran centro culturale costruito dai sovietici e che abbiano ridotto l'enorme territorio della loro ambasciata, i venti palazzi che ospitava, ad un ammasso di rovine. Ma perché sventrare tutte le fabbrichette dove si produceva qualcosa? Perché radere al suolo l'Università? Forse basta questo per capire cosa sono i Taleban, da dove vengono e perché ora sono loro a comandare a Kabul e su gran parte dell'Afghanistan. Essi sono, in primo luogo, la disperata necessità di farla finita con il terrore e la violenza dei signori della guerra. Il viceministro degli Esteri dei Taleban, Shair Mohammad Abas Stanikzai, un 35enne della provincia di Hogar, ex direttore militare del comandante Sayaf, ce lo spiega con parole semplici, che indicano una strategia chiara di ricerca del consenso tra la popolazione: «Ciascuna delle grandi Il viceministro Stanikzai: i banditi sono caduti perché il popolo li odiava battaglie con cui abbiamo sconfitto uno ad uno i falsi capi di una falsajiTiad si è svolta fuori o alle porte dei centri abitati». Stanikzai parla lentamente, con sicurezza, un ottimo inglese «imparato in Afghanistan: dovunque. A Herat, come a Ghazni, dove abbiamo liquidato Hekmatiar, come a Surobi, dove Massud è stato sconfitto, come a Kabul, noi abbiamo rotto le loro linee difensive e siamo penetrati in profondità per centinaia di chilometri. E lo sa perché? Perché dietro quei banditi non c'era niente. Avevano solo le armi. E quando noi sfondavamo la gente ci accoglieva a braccia aperte perché capiva che l'incubo era finito. Noi non abbiamo fatto morire inutilmente i civili...». Anche adesso, che la battaglia si è ridotta allo scontro con le truppe di Ahmed Shah Massud, le azioni militari sono lontane da Kabul dove non giunge neppure l'eco dei cannoni. L'offensiva dei Taleban, di cui avevamo visto i preparativi, è scattata con 20 ore di ritardo, non di notte ma la mattina. Massud è stato ricacciato indietro di una decina di chilometri. Ma poi si sono fermati. Unità miste, formate da uomini di Massud e del generale uzbeko Dostum, hanno riconquistato la base aerea di Bagràm. E' la prima volta che viene annunciata una operazione congiunta tra le forze di quelli che sono considerati i due più potenti Signori della guerra afghani, i quali si sono combattuti ripetutamente dal 1992. Ora i rinforzi affluiscono ancora lungo la via per Bagram. Non sono colonne militari classiche, arrivano alla spicciolata mandati chissà da dove, cinque a bordo di un'auto sgangherata, quattro a piedi che chiedono un passaggio, altri dieci su un pulmino sequestrato provvisoriamente. Cosi diventano centinaia e poi migliaia. Ieri è caduta la prima neve, a imbiancare le creste delle montagne sopra i 2000 metri. Anche se Massud resiste nella sua valle fino alla fine dell'inverno non costituirà un problema. Una sua controffensiva su Kabul appare impensabile. Il vero problema, ogni giorno che passa, è il generale Dostum, che tiene le sei province oltre la catena dell'Hindukush, oltre il passo di Salang. Se Dostum si mette d'accordo coi Taleban, per Massud è finita perché non avrà più retrovie. Ma Dostum l'uzbeko è sostenuto dal presidente uzbeko Karimov e dietro Karimov c'è, forse, la Russia. Che ha tutto da perdere da un Afghanistan unificato dai Taleban. Perché a quel punto andrà in porto il colossale progetto delle compagnie petrolifere americane e saudite per un oleodotto e un gasdotto che da Chardzhou, in Turkmenia, porterà energia direttamente nel Golfo Persico, via Afghanistan e Pakistan, tagliando fuori la Russia dalle laute quote dei diritti di passaggio e triturando a brandelli la sua influenza sull'intera regione centro-asiatica. Dunque Dostum, che già batte moneta come fosse un capo di Stato, potrebbe essere indotto a proclamare l'indipendenza delle sue sei province, rompendo in due l'Afghanistan. Sarebbe la guerra, e un'impresa difficile anche per i Taleban, che però hanno le loro quinte colonne a Marar-i-Sharif e altrove. La partita è aperta e il tempo gioca a favore dei Taleban. E non solo il tempo. Shair Stenikrai ci ha detto che «gli Stati Uniti, e precisamente il dottor Norbert Hole, sono impegnati in una mediazione tra i Taleban e il generale Dostum». E' probabile che il dottor Norbert Hole spieghi a Dostum, ma soprattutto al presidente Karimov, che se l'Uzbekistan vuole investimenti e amicizia americana sarà opportuno che non crei problemi al nuovo governo di Kabul. Giulietta Chiesa Resta Massud la spina nel fianco Il tagiko, alleato con Dostum ha riconquistato la base di Bagram INCHIESTA L'AFGHANISTAN DEI TALEBAN Un ragazzo afghano osserva dall'alto una manifestazione dei Taleban ieri a Kabul