Vìnce Di Pietro Salamone silurato

«Ilpm ha un odio privato» Brescia, clamorosa decisione della procura generale. Gli avvocati: tra i due c'era la guerra Vìnce Di Pietro, Salomone silurato «Ilpm ha un odio privato» BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Alle 8 e 55, prima ancora di iniziare, è già tutto finito. Fabio Salandone lascia la toga come gli viene imposto, e legge quelle due pagine col timbro del procuratore generale Marcello Torregrossa. Poche parole, in cui si mescolano termini come «odio privato», «incompatibilità», «gravi elementi» e «inimicizia grave». Tutto per dire che Fabio Salamone non può più sostenere l'accusa al processo sul presunto complotto contro Antonio Di Pietro, che al suo posto alla prossima udienza del 4 novembre andrà il sostituto procuratore generale Raimondo Giustozzi. E che anche Silvio Bonfigli, l'altro pm mai nominato nelle due pagine, si deve fare da parte. All'origine di questa decisione, secondo il procuratore generale di Brescia, c'è una vicenda sola. Scrive, l'alto magistrato: «E' notorio che il dottor Di Pietro svolse rilevanti indagini nei confronti del dottor Filippo Salamone (è il fratello del pm rimosso, ndr)». E ancora: «Con l'effetto di concorrere alla sua incriminazione per gravi delitti in vari procedimenti, nei quali risultano implicate persone notoriamente legate alla criminalità organizzata». «Posso solo dire che questa mattina un ufficiale dei carabinieri mi ha notificato il provvedimento. Non aggiungo altro», dice Fabio Salamone, nero in volto, la voce che trema per la rabbia e per questo stop che arriva dopo 17 mesi di indagine e un processo già partito, tre testimoni sentiti e un calendario fitto programmato. Meno - se si può - dice Silvio Bonfigli. A lui il procuratore generale non dedica nemmeno una riga, nemmeno un perché alla sua defenestrazione, comunicata all'improvviso ma nell'aria da sempre, dalle prime polemiche, dai primi scontri con'Auluuiu Di~Pietro;<che qui a Brescia nòli., voleva essere processato e nemmeno essere parte lesa per quelle dimissioni improvvise, di cui nessuno sa ancora perché. Soddisfatto, molto soddisfatto è invece l'avvocato Massimo Dinoia che arriva di corsa da Milano, sorpreso pure lui da questo provvedimento veloce come la luce. Commenta: ((Adesso faremo un processo normale. Se mi era mai capitato un caso simile? Non mi era nemmeno capitato di vedere comportamenti analoghi a questo». La stoccata è per Fabio Salamone. Che nel corridoio al secondo piano del Tribunale non si fa vedere, chiuso nel suo ufficio, gli uomini della Digos accanto, gli unici in tutta la procura vicini al pm isolato e rimosso. Antonio Di Pietro è molto lontano da qui. Di lui c'è traccia solo nei mille faldoni, nelle trentaduemila pagine di un'inchiesta finite in un processo che adesso sarà un'altra cosa. Anche Di Pietro è soddisfatto. «Se c'era una grave inimicizia? Basta leggere i miei esposti per rendersene conto», confida agli amici più stretti l'ex magistrato numero uno di Mani pulite. Come dire che tutto era già scritto, che questa decisione non deve sorprendere nessuno. «Cose così non le ho mai viste in tutta la carriera... Forse capitavano negli Anni 60, quando i procuratori generali venivano chiamati granduchi...», commenta Oreste Dominioni. Che qui difende l'imputato Paolo Berlusconi e che tutto sommato dovrebbe essere contento che la pubblica accusa che ha chiesto il rinvio a giudizio per il suo assistito sia stata messa da parte. Aggiunge, Dominioni: «Se è vero che Di Pietro ha contribuito a mettere nei guai il fratello di Salamone forse la decisione è fondata... Io comunque non ho avuto sensazione di gravi inimicizie». Lo contraddice un altro avvocato, il difensore di Cesare Previti, Vittorio Virga: «Fra Di Pietro e Salamone c'era la guerra. Non potevamo star qui a guardare mentre si sparavano addosso. Certo che il provvedimento è tardivo...». La «bomba», oltre che in faccia a Salamone, esplode sulla scrivania del procuratore capo Giancarlo Tarquini. Lunedì aveva invitato il pm ad astenersi dal condurre il processo, ma aveva escluso che ci fosse un problema di grave inimicizia. Il procuratore generale lo smentisce. Tarquini scivola sulle parole: «Il problema va studiato, va valutato, se vorrà studiarlo il dottor Salamone... Rispetto profondamente la decisione, ma in linea teorica... Non vorrei che le mie parole venissero fraintese...». Mezz'ora per dire che non sa se è possibile ricorrere, se si può appellare il magistrato singolarmente o deve essere l'ufficio. Una discussione infinita che coinvolge Salamone, Bonfigli, tutti gli altri sostituti procuratori più Tarquini, dalle 16 fino a sera. Dal procuratore capo arrivano solo quattro parole, a difesa dei due pm: «Se sono amareggiato? Certo non sono felice». . Eppure era nell'aria che si potesse arrivare a questo. Antonio Di Pietro ne era convintissimo e si preparava da tempo. Anche scrivendo al ministero della Giustizia il 25 settembre scorso, chiedendo di avere accesso agli atti del processo bresciano. Domanda respinta dal capo di gabinetto, tre giorni dopo, con lettera indirizzata al ministro Di Pietro nel suo ufficio di Roma. Da giorni, da settimane l'ex magistrato andava all'attacco anche con nuovi esposti contro Salamone, l'ultimo martedì scorso, in cui il suo avvocato tira nuovamente in ballo le indagini su Filippo Salamone condotte da Di Pietro. Indagini ininfluenti, secondo Fabio Salamone: mai depositate come fonte di prova a Palermo e successive - tranne in un caso - alle confessioni rese da suo fratello. Come scritto in una memoria alla procura generale di Brescia del 4 giugno scorso. «L'inimicizia allo stato potrebbe trovare verosimile fondamento nello strettissimo rapporto di parentela», risponde Marcello Torregrossa nelle due pagine con cui toglie di mezzo Salamone e Bonfigli. Fabio Potetti

Luoghi citati: Brescia, Milano, Palermo, Roma