doppio potere che piace all'America

Preghiera provocatoria sotto Alla fine conferenza stampa la sede di un ente ebraico al Palazzo di Vetro SONDAGGI // doppio potere che piace all'America SWASHINGTON E si fa un salto alla Casa Bianca e poi ci si trasferisce all'altra estremità di Pennsylvania Avenue, nel quartier generale dei democratici in Congresso, si possono facilmente notare due atmosfere diverse. L'euforia che c'è attorno al primo presidente democratico dopo Franklin Delano Roosevelt avviato a vincere un secondo mandato è palpabile. L'umore dei democratici al Capitol Hill non è altrettanto euforico. Le proiezioni continuano a indicare che, se nulla cambia prima del voto, Bill Clinton dovrebbe prevalere su Bob Dole con una «slavina» di voti come quella con cui Ronald Reagan affogò Walter Mondale nel 1984. Una vittoria di questo tipo genera quasi sempre il fenomeno delle «coattails», cioè delle code del frac: attaccati alle code presidenziali, i candidati al Parlamento per il suo stesso partito ne traggono grosso vantaggio. Con Reagan accadde. E infatti, fino a qualche settimana fa, i sondaggi indicavano che alle politiche di novembre, nelle quali come ogni due anni si rinnoverà un terzo del Senato e tutta la Camera, i democratici avrebbero agevolmente rovesciato la maggioranza conquistata nel '94 dai repubblicani guidati da Newt Gingrich e inquadrati nel suo Contratto con l'America. Adesso sondaggi interni, commissionati dagli stessi democratici, indicano che questo esito è tutt'altro che garantito. Anzi, in questo momento, ai perplessi democratici appare più probabile il contrario. A un esame approfondito, la riconquista del Senato appare adesso quasi un sogno, mentre per la Camera la situazione si presenta, bene che vada, molto incerta. Si compia o meno, questo strano fenomeno sembra indicare un cambiamento di fondo nella politica americana. La stranezza è accentuata dal fatto che, dopo il trionfo della sua Rivoluzione Conservatrice, Gingrich è rapidamente diventato il politico più impopolare presso un'America che aveva spaventato. Mentre Clinton, con alle spalle due primi disastrosi anni, ha iniziato un formidabile recupero proprio dopo la storica conquista repubbli- cana dell'intero Congresso, un fatto che non si verificava dal primo biennio della presidenza Eisenhower, 1953'55. Se si scorre la storia dei rapporti intercorsi tra presidenza e Congresso in questo secolo, si possono trovare quasi tutte le combinazioni. Presidenti repubblicani sostenuti da Congressi repubblicani, come Theodore Roosevelt o Calvin Coolidge, oppure presidenti democratici appoggiati da Congressi democratici, come Woodrow Wilson o Franklin Delano Roosevelt, sono le due combinazioni più frequenti fino alla fine della seconda guerra mondiale. Ma nel dopoguerra, fino al '94, il Congresso era stato solidamente democratico. Le uniche eccezioni a questo schema sono il biennio '47-'49 in cui il democratico Harry Truman incrociò i guantoni con l'80° Congresso e riuscì a sconfiggerlo e quando la slavina di Reagan produsse una maggioranza repubblicana nel solo Senato. Ma il breve caso di Truman costituisce il solo esempio in questo secolo di rapporto tra un presidente democratico e un Congresso repubblicano. Anzi no, ce n'è un altro: quello appunto tra Clinton e il 104° Congresso in questi ultimi due anni. La combinazione sembre essere piaciuta molto agli americani, tanto da essere tentati di mantenerla. Questo sembra essere il frutto di una modificazione sostanziale nei ruoli dei due partiti. Schematicamente, i repubblicani, che erano soprattutto un partito di gestione dell'esistente, sono diventati un partito di idee e proposte. I democratici, che erano prevalentemente il partito delle proposte, sono diventati il partito che «media» le idee repubblicane. Non importa che si tratti di idee contrapposte: i democratici si sono battuti per i diritti civili e per lo Stato sociale, quando i repubblicani si battono per un forte ridimensionamento dello Stato, della politica e per una riduzione delle protezioni sociali. Ma gli americani sembrano pensare che Clinton ha fatto il suo migliore lavoro proprio cercando di «mediare» e rendere più digeribili le idee repubblicane. Paolo Passarmi inj

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