«Un verdetto pericoloso» di F. Gri.
«Un verdello pericoloso» «Un verdello pericoloso» Quistelli: non rinnego nulla, lo rifarei IL GRANDE ACCUSATO ROMA I lasci solo dire che sono amareggiato. E che non spetta a me giudicare le sentenze della Cassazione. Io sono un giudice. Queste sono le regole del gioco. A loro l'ultima parola. Una cosa solo ci tengo a dire: non rinnego nulla, lo rifarei. Ho agito da giudice in buona fede. Nessuno mi ha condizionato. Vorrà dire che ho lavorato inutilmente». Agostino Quistelli, presidente del tribunale militare che giudicò Priebke, e che lo condannò, ma allo stesso tempo lo rendeva uomo libero col gioco delle attenuanti, da ieri è un giudice sconfessato e ricusato. Non nasconde la sua solitudine. Presidente Quistelli, se l'aspettava? «Assolutamente no. Non me l'aspettavo proprio. Tanto più che avevo saputo, leggendo i giornali, che il sostituto procuratore generale militare, Bonagura, aveva chiesto il rigetto dei ricorsi. Mi sembrava probabile, visto l'atteggiamento della pubblica accusa che mi dava pienamente ragione, che la Cassazione mi avrebbe dato ragione. E invece...». Invece si ritrova a commentare una dura sconfessione. «No, guardi che io non commento. Questa è la decisione della Cassazione. Così sia. Posso solo dire che mi dispiace. E che mi auguro che sia una sentenza sul case e non sui principi. Perché penso, da quanto posso immaginare, che si affermano principi che considero molto pericolosi». Quali principi? «Il primo è molto tecnico, ma importante. C'era l'ostacolo della inammissibihtà, su cui si era soffermato il sostituto Procuratore generale. Sono state violate le norme sui termini, sui modi, sulle forme. Su tutto. C'era stata una violazione della norma già nella prima decisione sulla ricusazione, che s'è trascinata sulla seconda». Beh, le questioni procedurali in Cassazione contano. Eccome. «Appunto. Guardi che la giurisprudenza della Cassazione in questo senso è univoca, perché la ricusazione è un atto grave. Si sottrae il giudizio al suo giudice naturale. E per questo la ricusazione è sottoposta a forme e termini rigorosissimi. Invece, a quanto pare, non sono stati ritenuti importanti». E il secondo pericolo? «Il principio che afferma. Se ogni magistrato, a distanza di anni, quando non conosce nulla di un caso, sulla base di informazioni di stampa, dice una cosa... Avevo avuto modo di leggere qualcosa sulla stampa, a proposito di Kappler. Era scritto che fosse stato condannato per i cinque ostaggi fucilati in più. Avevo detto: se queste sono le premesse, Priebke mi pare che debba rispondere di un omicidio colposo plurimo. Ma dicevo sempre: se queste sono le premesse. Ed erano premesse sbagliate, come s'è visto al processo, e come ho scritto chiaramemte nella sentenza. Nella nùa sentenza, se lei l'ha potuta leggere, di omicidio colposo plurimo non ce n'è traccia». Lei vuol dire che erano parole in libertà? «Guardi che io giudice, il mio convincimento me lo faccio sulle carte processuali, non leggendo articoli di giornale. Questo principio significa che non posso parlare più di nulla. Potrei dirle adesso che per me Pacciani è colpevole. Poi magari tra qualche anno, per chissà quale motivo di competenza, magari io passo alla magistratura ordinaria e vado a Firenze, mi trovo a giudicare Pacciani. E mi dovrei astenere. Ma che, stiamo scherzando?». Può parlare solo di calcio... «Già. Il mio giudizio me lo faccio quando leggo gli atti. All'epoca non avevo espresso alcun giudizio. Solamente avevo detto che se quelle erano le premesse, quella era la qualificazione giuridica. In che modo io possa essere influenzato, mi permetta, non lo capisco». [f. gri.]
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