CITATI, CALLIGRAFO DEI CIELI

CITATI, CALLIGRAFO DEI CIELI CITATI, CALLIGRAFO DEI CIELI «La luce della notte» : una cavalcata alla radice delle cose ultime, dai miti classici alle rivelazioni cristiane, dagli Aztechi alVlslam, al Tao LA LUCE DELLA NOTTE Pietro Citati Mondadori pp. 399, L 32 000 Sant'Agostino Nella foto grande Pietro Citati Una partecipazione affascinata, lo scandaglio dei libri che nessuno può disigillare completamente, che continuano a infuocare i nostri pensieri ELL'appartato, commovente museo dell'Acropoli, tra le reliquie sopravvissute all'invasione persiana prima che sul colle sorgesse in gloria il Partenone, si trova, scolpito nell'avorio, un volto di Apollo a grandezza pressoché naturale. Il sorriso arcaico promette benevolenza e sembra illuminare le sue fattezze, se non t'osse che l'avorio, lavorato dal tempo o esposto alle fiamme del saccheggio, ha preso una colorazione scura e notturna che contraddice o rende sfuggente la solarità del dio. Mi è venuta in mente quella lontana emozione leggendo un capitolo di La luce della notte in cui Pietro Citati indugia sulla composita natura di Apollo, portatore di una luminosità che, nell'abbaglio, rivela la sua parentela con la tenebra. Il dio greco della poesia offre del resto una delle chiavi più insinuanti per penetrare nell'universo del mito che Citati esplora nel suo libro. Con una partecipazione affascinata e a tratti intormentita che va ben oltre la capacità straordinaria di appropriarsi di un tema o modello letterario, di scendere in gara con mi autore supremamente amato, di entrare nelle sue viscere e nella sua scrittura. Perché si occupa questa volta - parafrasiamo René Girard che parafrasa Matteo - delle «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo», e cioè delle cose ultime. E lo fa con la duttilità di imo stile sorretto da doviziose letture, dalla sensibilità per i fatti della letteratura e dell'arte, non esitando a trasformarsi in viaggiatore nello spazio e nel tempo, a utilizzare il piglio del narratore. Così, in apertura di libro, rivive la sorpresa degli esploratori che per primi violarono nell'immensa steppa russa i tumuli dei cavalieri Sciti dormenti nel ghiaccio. E racconta come, innamorati dell'oro, ne fecero il centro della loro religione, irradiando il suo simbolico splendore su un'arte che non conosce figura umana o divina ma soltanto l'energia che si sprigiona da animali misteriosi e violenti, dalle loro continue metamorfosi. Così, si accompagna a Socrate tra gli invitati del simposio, sulle strade della campagna ateniese, dove ebbrezza e arguzia non gli impediscono di porgere orecchio al suo demone, di inanellare miti meravigliosi in cui balena per un istante la pienezza dell'essere che nessuna ragione è in grado di afferrare. Oppure, immagina col desiderio di trovarsi al cospetto di Apuleio, di profittare della sua prodigiosa, negromantica frequentazione di tutti i mondi e di tutte le scienze (Apuleio, afferma Citati, è «il più grande prosatore latino di ogni tempo», neli'«Asino d'oro» è occultato «il più grande e audace testo mistico della letteratura europea»). Fino a calarsi nelle vesti di un modesto letterato neoplatonico che, nel crepuscolo del mondo antico, si imbatte nelle lettere di San Paolo. Abituato a cercare con devozione in tutte le divinità dell'ecumene l'idea conciliatrice di un Dio unico, di un essere lontano e purissimo, sempre uguale a se stesso, subisce un trauma sconvolgente scontrandosi con la follia dell'Incarnazione e della Croce, con una fisicità che lo seduce e sconcerta, con una disarmonia lacerante. Il contrasto non si è appianato, dura fino ad oggi, fino a chi scrive: «Dentro di noi c'è un platonico che commenta Paolo; e un cristiano paolino che commenta Platone». Va detto, a questo punto, che la cavalcata di Citati per secoìi e millenni non si limita a rivisitare i grandi miti dell'umanità, le creazioni collettive, ma anche le riflessioni, gli arricchimenti, le approssimazioni e gli allontanamenti dal mito, che si trovano negli spiriti grandi, come in una specie di inesausto commento. Ecco allora le Confessioni di Agostino come eccezionale esperienza visionaria del divino, come testimonianza di un rapporto di sovrumana o insieme carnale dolcezza. Ecco Dante, che ha osato anticipare nel Paradiso la visione degleletti, prima ancora che il Giudizio Universale abbia rivestito di luce iloro corpo glorioso. Più avanti, in un'età più disincantata dei nomi divini, sarà Montaigne a riproporrnegli Essais, stretto tra il gracidio delle oche del Périgord e l'orizzontillimitato, l'immagine di un Diinaccessibile e insondabile. E sarlo stesso Leopardi, che prova dietrla siepe di Recanati l'esperienza delusiva dell'Infinito, la sua irrimediabile, non priva di dolcezza, contaminazione con le sensazioni e lillusioni del presente. La curiosità e la passione di Citanon si arrestano ai miti classici e ale rivelazioni cristiane, si concedono incursioni nella fluidità del Tao nella ritualità confuciana, nella mstica islamica contrapposta all'allegra demonologia delle Mille e unnotte, nella suprema malinconiche si addensa intomo alle divinitazteche e incaiche avviate al tramonto. Ma questo libro, che si è fomato evidentemente per occasionitempi diversi, per tentativi e assaggi, lungo un percorso sinuoso e insieme coerente, è legato da un fon damentale principio ispiratore: «Solo i libri scritti con la calligrafia cifrata dei cieli, solo i libri che nessuno può disigillare completamente, continuano a infuocare per secoli i nostri pensieri». E ancora, secondo la sentenza dello gnostico Valentino: «La verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli e in immagini». C'è un nome che viene appena citato, di passaggio, nella Luce della notte, ed è quello di Simone Weil. Chi ha letto La Grecia e le intuizioni Croce, con una fisicità che lo seduce e sconcerta, con una disarmonia lacerante. Il contrasto non si è appianato, dura fino ad oggi, fino a chi scrive: «Dentro di noi c'è un platonico che commenta Paolo; e un cristiano paolino che commenta Platone». Va detto, a questo punto, che la cavalcata di Citati per secoìi e millenni non si limita a rivisitare i grandi miti dell'umanità, le creazioni collettive, ma anche le riflessioni, gli arricchimenti, le approssimazioni e gli allontanamenti dal mito, che si trovano negli spiriti grandi, come in una specie di inesausto commento. Ecco allora le Confessioni di Agostino come eccezionale esperienza visionaria del divino, come testimonianza di un rapporto di sovrumana o insieme carnale dolcezza. Ecco Dante, che ha osato anticipare nel Paradiso la visione degli eletti, prima ancora che il Giudizio Universale abbia rivestito di luce il loro corpo glorioso. Più avanti, in un'età più disincantata dei nomi divini, sarà Montaigne a riproporre negli Essais, stretto tra il gracidio delle oche del Périgord e l'orizzonte illimitato, l'immagine di un Dio inaccessibile e insondabile. E sarà lo stesso Leopardi, che prova dietro la siepe di Recanati l'esperienza delusiva dell'Infinito, la sua irrimediabile, non priva di dolcezza, contaminazione con le sensazioni e le illusioni del presente. La curiosità e la passione di Citati non si arrestano ai miti classici e alle rivelazioni cristiane, si concedono incursioni nella fluidità del Tao e nella ritualità confuciana, nella mistica islamica contrapposta all'allegra demonologia delle Mille e una notte, nella suprema malinconia che si addensa intomo alle divinità azteche e incaiche avviate al tramonto. Ma questo libro, che si è formato evidentemente per occasioni e tempi diversi, per tentativi e assaggi, lungo un percorso sinuoso e insieme coerente, è legato da un fon- precristiane, i Diari, la Lettera a un religioso vedrà affacciarsi a momenti in queste pagine la sua spigolosa figura. L'ebrea Simone rifiuta di abbracciare formalmente la fede cristiana che sente intimamente sua, se la Chiesa non rende giustizia alla presenza del divino, alle sue manifestazioni che affiorano con mdiscutibile purezza nei grandi libri del passato, nei miti fondatori dell'umanità. Se pretende di costringere l'universalità e l'onnipresenza del Dio cristiano alla linearità della Storia. Nella coscienza laica di Citati, del neoplatonico Citati che legge Paolo di Tarso, sembra di avvertire questo richiamo a una religiosità come affanno e ricerca, come epifania tentante e appagante, che attraversa l'intero cammino dell'uomo, i suoi onori e sconfitte. Una religiosità come affanno e ricerca, che attraversa Finterò cammino dèli uomo, * /' suoi onori e sconfitte * QUANTI POETI LAUREATI IN UN VICOLO DI GENOVA

Luoghi citati: Essais, Grecia, Recanati, San Paolo