Di Carlo, veleni sulla Regione
Di Carlo, veleni sulla Regione Di Carlo, veleni sulla Regione «// Presidente riciclò denaro del boss» le accuse del pentito LM PALERMO ULTIMA rivelazione arriva come un siluro nei saloni ovattati di Palazzo D'Orleans e rischia di provocare una crisi senza precedenti. Dopo aver tirato in ballo Andreotti, Berlusconi e Dell'Utri, adesso il pentito Franco Di Carlo prende di mira il presidente della Regione Siciliana, Giuseppe Provenzano, dichiarando che l'esponente di Forza Italia negli Anni 80 avrebbe riciclato denaro per conto del superlatitante Bernardo Provenzano, detto Binnu, il padrino storico di Cosa nostra. Il nuovo collaboratore della giustizia, che per la sua attendibilità è stato definito «il nuovo Buscetta», ha raccontato ai magistrati di Palermo di aver saputo dai boss Totò Riina e Giovanni Brusca che Binnu Provenzano, dopo aver licenziato Pino Mandalari il ragioniere delle cosche - si rivolse a Giuseppe Provenzano, docente presso la facoltà di Economia e Commercio, affinché i suoi capitali fossero investiti in attività più redditizie. Di Carlo, generoso di dettagli, ha aggiunto anche che Riina e Brusca non credevano alle capacità professionali del professor Provenzano, al punto da ironizzare sulla possibilità che il commercialista riuscisse a «quadruplicare i soldi di 'zu Binnu». Il pentito spiega che il superboss avrebbe deciso di affidare i propri risparmi a Giuseppe Provenzano perché tra i due esisteva un rapporto personale e racconta che, per occultare i beni di Cosa nostra, il professore avrebbe scelto come prestanome del padrino corleonese un ingegnere dell'Anas. Tornano così a galla i trascorsi giudiziari del presidente della Regione, lanciato alle elezioni dello scorso giugno come l'homo novus di Forza Italia in Sicilia. Il presidente Provenzano ha definito «un'infame menzogna, che getta un'ombra precisa sulla credibi¬ lità di questo collaborante. I fatti furono chiariti da Giovanni Falcone, la cui memoria qualcuno si ostina a volere infangare». Nell'aprile del 1984, infatti, Giuseppe Provenzano fu arrestato da Giovanni Falcone con l'accusa di «aver occultato beni di provenienza delittuosa nella sua qualità di procuratore di Saveria Palazzolo», la moglie del boss Provenzano. Il docente, scarcerato dopo poche settimane, riuscì però a dimostrare che svolgeva correttamente le sue mansioni di consulente e l'inchiesta fu archiviata per insufficienza di prove dall'allora giudice istruttore Giuseppe Di Lello. Non contento, l'inarrestabile Di Carlo, come un fiume in piena, svela i retroscena di misteriosi delitti commessi a Palermo tra gli Anni 70 e gli Anni 80. Come l'uccisione di Antonino Coniglio, il titolare di un'impresa di pompe funebri assassinato nel '76 da Leoluca Bagarella, Nino Madonia e Antonino Gioè solo perché si diceva che «portasse jella». Il pentito racconta il sequestro di Franco Madonia, nipote del boss di Monreale, don Peppino Garda, e di quello di Graziella Mandala, moglie del costruttore Giuseppe Quartuccio, rapita negli Anni 70 a San Martino delle Scale. Nel primo caso, racconta Di Carlo, si trattò di un sequestro di mafia. Il rapimento Mandala, invece, sarebbe stato opera di un gruppo di balordi. E.Cosa nostra uccise tutti i responsabili del rapimento e liberò la donna. Come un archivio vivente, infine, Di Carlo ricorda un episodio di molti anni fa: quando avrebbe visto con i propri occhi l'avvocato Angelo Bonfiglio abbracciare il boss agrigentino Carmelo Colletti sulla statale Palermo-Sciacca. Il pentito giura che Bonfiglio, vecchio leone della de, era a, quel tempo il presidente della Regione. Sandra Rizza
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