La folla ruggisce: assassini

Il padre di Melissa «E' come profanare la sua tomba» Sciopero spontaneo ferma la Volkswagen La gente chiede la pena di morte per i politici La folla ruggisce: assassini Assalto al «palazzo dell'ingiustizia» IL PAESE INCREDULO ABRUXELLES volte la storia sceglie gesti banali, parole banali per le sue svolte. A Pietroburgo, nel 1917, la rivoluzione fu annunciata da una frase qualsiasi pronunciata da un gendarme ai capi della Costituente: «La guardia è stanca». Ieri il Belgio, in tutt'altre proporzioni, ha vissuto un momento fatale quando cinque giudici della Corte di cassazione, avvolti nelle toghe rosse, hanno deciso di togliere al «giudice eroe» Jean-Marc Connerotte l'inchiesta sul mostro di Marcinelle. «Temo che ciò possa far tremare le basi del sistema democratico», ha detto il leader socialista Louis Tobback. Ma era difficile rendersi conto del dramma di un Paese ascoltando la litania del presidente della Cassazione che leggeva la sentenza. Lo scalone monumentale del Palazzo di giustizia a Bruxelles era invaso di gente: giornalisti, fotografi, giudici, avvocati e soprattutto poliziotti, poliziotti a non finire. Nellapiccola sala rivestita in legni pregiati, enormi arazzi ottocenteschi alle pareti, il procuratore della Cassazione, Eliane Lieckendael, ascoltava a bocca aperta, lo sguardo a terra, mummificata nella sua anziana assenza. E' lei che, su richiesta degli avvocati del mostro Marc Dutroux e del suo complice Michel Nihoul, ha chiesto di sollevare il giudice Connerotte dall'incarico «per legittima suspicione»: ha accettato un invito a cena dall'associazione dei parenti delle vittime dei mostri, ed ha avuto l'impudenza di accettare anche un regalo: una penna a sfera, del valore di 50 mila lire. In un'atmosfera polverosa, allucinata per la sua irrealtà, il primo presidente della Cassazione Oscar Stranard ha scandito lento, a voce bassa: «Vi è luogo a sollevare subito il giudice Connerotte, che i fatti sono verificati e pertinenti». Silenzio. Solo quando la notizia è arrivata all'esterno, portata dagli avvocati delle famiglie delle piccole vittime del mostro, solo allora l'atto etereo della Cas¬ sazione ha assunto i suoi veri connotati. «Assassini, assassini, assassini». Mille, duemila voci, rimbalzate dall'inutile altissima volta dell'ingresso del Tribunale, hanno rotto l'incanto della forma giudiziaria. La folla, gente comune, vestita come appena uscita di casa, chi in impermeabile perché è il suo unico soprabito, chi in camicia, chi con la maglia della tuta sui blue-jeans, ha ruggito come solo la fofla sa fare. Centinaia di poliziotti si sono precipitati a contenere quello che voleva essere un assalto al Palazzo dell'ingiustizia. C'era chi piangeva, soprattutto donne anziane. Chi urlava, soprattutto giovani uomini. E c'era chi, annichilito dall'impotenza, dalla collera, dall'incredulità, mormorava appena «che vergogna». Sulle scale del Tribunale avevano deposto centinaia di mazzi di fiori, cartelli come «non toccate Connerotte», «voghamo la verità». Sono finiti tutti calpestati dalla rabbia di un campione di popolo che non crede più a nulla: né nella giustizia, né nella politica, né nella polizia, forse nemmeno più nel Re, ultimo rifugio dei belgi. «Non voglio più essere belga - gridava paonazzo un cinquantenne, il ma¬ glione troppo piccolo che gli scopriva la pancia - a casa ho una bandiera belga, appena torno la brucio». Fiamminghi e valloni, sempre sospettosi, sempre rivali. Ieri invece tutti insieme, a urlare buuuh, a fischiare, a gridare ciascuno nella propria lingua «giustizia è marcia», «hanno ucciso le bambine due volte». Allora dal Palazzo è uscita una ragazza marocchina, vestita con il jeUaba e il fazzoletto sul capo. Nabela Benaissa, sorella della piccola Lubna, scomparsa quattro anni fa. Gridando in un megafono è riuscita a farsi ascoltare: «La soluzione ci soddisfa, restate calmi». Ha spiegato che il procuratore Michel Bourlet resta al suo posto, anche se pure lui aveva accettato spaghetti e penna come Connerotte. E l'assalto si è fermato. Gino Russo, il padre della piccola Julie, la pensa diversamente. «Hanno sputato sulle tombe delle nostre figlie». E il padre di An Marchal: «Io ho un cuore, la giustizia no». Connerotte, trattenendo le lacrime, aveva detto in mattinata che qualsiasi giudice avrebbe proseguito la sua opera. Forse è vero, ma ci son voluti quattro anni perché l'inchiesta sull'omicidio di André Cools, il boss socialista di Liegi, arrivasse al punto dove Connerotte era arrivato nel '92. A Bourlet, accolto dagli applausi di una piccola folla alla procura di Neufchateau, hanno chiesto se ora si dimetterà: «E che c'ho la faccia di uno che vuole dimettersi?» E s'è infilato in ufficio. Il primo ministro Jean-Luc Dehane ha detto che bisogna rispettare la decisione della Corte. I leader degli altri partiti hanno ripetuto le stesse parole. Tranne il socialista Toback, l'unico ad esprimere in tv i suoi timori per la tenuta democratica del Paese. E a ragione. Il Vlaamse Blok, partito nazio¬ nalista della destra fiamminga, ha colto «l'occasione per fare una grande pulizia». E fuori dal Tribunale, a centinaia, giravano i volantini fascisti: «I politici sono contro la pena di morte perché temono possa essere applicata a loro». Venerdì il Re accoglierà la prima «tavola rotonda» per affrontare il dramma della pedofilia. Ma è un'iniziativa tardila. Il Paese, intanto, reagisce. La fabbrica della Volkswagen, a Bruxelles, s'è fermata per uno sciopero spontaneo. E domenica decine di treni speciali porteranno nella capitale centomila persone, per una manifestazione che rischia di scuotere il Regno. Alla Cassazione sono bastati sei minuti per decidere. Per il Belgio potrebbero risultare fatali. Fabio Squillante A migliaia accusano «Siete complici di Dutroux» Domenica la grande protesta Un uomo grida: mi vergogno di essere cittadino di questo Paese Il magistrato-eroe piange Il padre di Melissa «E' come profanare la sua tomba» Sciopero spontaneo ferma la Volkswagen La gente chiede la pena di morte per i politici A destra, i parenti di Loubna una delle ragazze scomparse protestano per la decisione della corte di Cassazione di Bruxelles Qui a fianco il giudice Jean-Marc Connerotte Sotto l'«awocato dei pedofili» Julien Pierre

Luoghi citati: Belgio, Bourlet, Bruxelles, Pietroburgo